Vincenzo Michele Sellitto: Laurea in Scienze Agrarie presso l’Università degli Studi del Molise, e Ph.D di Ricerca in Biochimica e Chimica Applicate. Da anni studia il microbioma del suolo. Ha curato un libro molto interessante: i microrganismi utili in agricoltura (Edagricole – New Business Media), mi ha concesso una lezione privata sul suolo che io rendo pubblica.
Mi spieghi in breve cosa c’è in una manciata di terra?
Direi innanzitutto, di parlare di suolo e non terra.
Vai, accordato…
Il termine suolo porta con sé una storia evolutiva associata quindi al concetto di vita. Il suolo nasce, si evolve e può morire proprio come un essere vivente. Ritroviamo al suo interno un numero incredibilmente elevato di organismi viventi tutti coinvolti in misura più meno diversa nelle funzioni essenziali per l’uomo, per gli ecosistemi e per la vita stessa. Stiamo parlando del più importante serbatoio di biodiversità del nostro pianeta insieme agli oceani.
Qualche numero?
In una manciata di suolo (circa 200 g di suolo) possiamo trovare circa 0,5 g di organismi viventi, molti dei quali sono microrganismi invisibili ad occhio nudo. Facendo le debite proporzioni questo significa che in un ettaro si possono trovare 5000kg di organismi viventi.
Bel numero…
Probabilmente ci sono più microrganismi nel suolo che stelle nell’universo.
Bello! Una manciata di suolo, ovvero un universo a portata di mano…uno slogan non male
Una provocazione forse, ma serve per far comprendere in modo immediato che non è importante il numero in sé per sé ma la sua complessità.
Cosa fanno queste complesse comunità microbiche?
Le comunità microbiche, anche indicate come microbioma del suolo, assumono un ruolo fondamentale in tutti quei servizi ecosistemici assolti nel suolo.
Puoi farmi elenco di massima?
Il turnover della sostanza organica, regolazione della biodisponibilità degli elementi nutritivi, controllo dei patogeni e difesa, mantenimento della struttura del suolo e regolazione dei processi idrologici, scambi gassosi ed il sequestro del carbonio, disinquinamento, e sviluppo delle piante.
Ci sono evidenze scientifiche per pensare che alcuni microrganismi svolgono le funzioni suddette, vero? Non parliamo per sentito dire…
Negli ultimi 15 anni, il numero degli articoli scientifici che riguardano il microbioma del suolo, è aumentato in maniera esponenziale. Questo grazie sostanzialmente l’avvento delle tecniche molecolari, prevalentemente basate sull’analisi degli acidi nucleici, che hanno permesso di iniziare a fare luce su quella zona d’ombra dell’ecologia microbica.
Dunque?
Dunque, la maggiore conoscenza del microbioma del suolo ci permette di utilizzare proprio i microrganismi utili in modo concreto e puntuale per ottimizzare in primis la performance delle colture, e allo stesso tempo anche lo stato di benessere del suolo e quindi il miglioramento del benessere della popolazione.
Attualmente le comunità microbiche come vengono usate?
Ad esempio, possiamo usare spore di funghi quali il Trichoderma spp per il biocontrollo di molte delle patologie fungine che riguardano l’apparato radicale delle piante; il fungo Pochonia chlamydosporia per contenere i danni di alcuni nematodi fitopatogeni, cisticoli o galligeni che rappresentano una delle problematiche più sentite in agricoltura, con perdite annue fino al 20% delle produzioni a livello mondiale. Allo stesso modo anche il controllo biologico degli insetti dannosi può essere realizzato tramite l’uso di funghi entomopatogeni come ad esempio la Beauveria bassiana
Per le patologie fogliari, invece, vale lo stesso?
Sì, per proteggere le piante dai patogeni dell’apparato fogliare come la muffa grigia, l’oidio e la monilia possiamo utilizzare spore dei batteri del genere Bacillus tra cui ad esempio il Bacillus subtilis, e Bacillus amyloliquefaciens. Questi solo alcuni esempi di microrganismi che possiamo usare in agricoltura e che sono già ampiamente diffusi nei protocolli sia in agricoltura sia biologica che convenzionale, ampiamente studianti scientificamente e validati tecnicamente.
Cosa altro c’è?
In realtà, i microrganismi sono caratterizzati da un forte mutlitrofismo.
Trofismo, in biologica significa nutrizione
Diciamo che i microrganismi hanno anche effetti di biostimolazione e di biofertilizzazione.
Come fanno?
Grazie alle varie interazioni che si instaurano tra piante e microrganismi. Ad esempio, le relazioni simbiontiche e endofitiche tra pianta e microrganismo sono a mio avviso molto promettenti e forniscono prospettive più importanti. Quando ad esempio applichiamo dei microbiomi al suolo in prossimità della radice, la rizosfera, la pianta reagisce, riprogrammando l’espressione genica, e attivando dei sistemi di resistenza endogena che permettono di superare gli stress sia biotici che abiotici.
Quindi le piante parlano con i microrganismi del suolo grazie a una rete di comunicazione?
Si, nello specifico possiamo dire che i microrganismi favoriscono e amplificano i sistemi di comunicazione tra piante anche di specie, genere e addirittura famiglie diverse.
Esempio?
I funghi micorrizici. Vivono nel suolo, e instaurano delle associazioni simbiotiche mutualistiche con più dell’80% delle piante terrestri (tra cui quelle agrarie). Questi funghi entrano nelle radici, e scambiano con la pianta ospite sostanze nutritive e, sotto forma di segnali semiochimici, anche informazioni.
Per segnale semichimico ti riferisci a quei composti chimici che regolano le interazioni tra gli organismi viventi?
Sì.
Ok, cosa succede?
Una volta instaurata la simbiosi, il fungo è anche in grado di crescere all’esterno delle radici formando una fitta rete extra radicale che occupa tutto il suolo circostante.
Una rete molto fitta, quindi…
Questa fitta rete, oggi oggetto di molti studi estremamente affascinati, rappresenta nel suo insieme un apparato ausiliario assorbente indicato con il termine wood wide web.
Una sorta di internet che viene prima di internet?
Questa fitta rete di radici evidenzia una incredibile somiglianza con il funzionamento della rete Internet (world wide web), proprio attraverso l’esistenza di nodi e piante hub capaci di smistare informazioni, nutrire tutte le piante del network anche a grande distanza usando proprio le ife dei funghi come se fossero una grande metropolitana sotterranea.
Ma di che genere di comunicazione si tratta? Cioè, che si dicono?
Si scambiano favori. I funghi, incapaci di fare fotosintesi ma velocissimi a colonizzare il suolo con il loro micelio stringono interconnessioni con le piante con cui si scambiano acqua, minerali e altre sostanze chimiche in cambio di zuccheri e carbonio (frutto della fotosintesi), prestandosi anche a trasportare messaggi, magari anche di allarme in caso di attacco di parassiti. Il concetto di wood wide web, inizia ad avere dei risvolti pratici in quanto le piante micorrizate non solo crescono molto di più delle piante non micorrizzate ma sviluppano anche un’elevata tolleranza sia agli stress abiotici che biotici.
Quindi se studiamo meglio queste reti…possiamo gestirle…
Le conoscenze riguardo questo tipo di interazioni tra pianta, microbioma e suolo aprono nuove prospettive future nella gestione dell’ecosistema agrario ma allo stesso tempo già oggi offrono nuove opportunità agli agricoltori di innovare il loro modo di fare agricoltura
Così come le piante comunicano tra di loro noi dobbiamo essere in grado di comunicare queste nuove scoperte…
In qualsiasi agricoltore, indipendentemente dalla sua collocazione geografica, esiste una necessità naturale di acquisire maggiore conoscenza. Spiegare come l’ecosistema agrario è caratterizzato da una forte interconnessione tra i vari elementi che lo abitano e che il suolo gioca un ruolo fondamentale in quanto organismo vivo, oltre ad aumentare la consapevolezza del nostro stesso ruolo in questo contesto aumenta la possibilità di introdurre innovazioni. In modo speciale in questo periodo storico in cui dobbiamo fare delle scelte epocali per la tutela dell’ambiente, la comunicazione giocherà un ruolo centrale.
Senti Michele, ci sono pratiche agronomiche che possono degradare il suolo e dunque annullare la rete e altre che invece la rafforzano?
Questo è un tema molto complesso e contraddittorio.
Vai, su Agrifoglio sono ben accette le contraddizioni.
Nel senso che tutte le pratiche agronomiche apportano dei cambiamenti dell’ecosistema agrario e in particolare proprio a carico del suolo. In agricoltura siamo in un regime che per antonomasia è antropizzato.
Certo l’agricoltura è una delle pratiche più innaturali che abbiamo inventato…
Il solo fatto che dobbiamo coltivare una o al massimo qualche coltura in un campo a discapito della biodiversità, già questo evidenzia che il sistema di per sé subisce dei cambiamenti profondi. In sintesi, tutte le attività agricole impattano sul suolo e sul suo precario equilibrio, a partire dalle lavorazioni sia essere profonde che superficiali le quali possono certamente creare delle disconnessioni tra le reti di radici (che fisicamente si creano nel suolo) e tra tutte le forme di interazioni tra pianta e microrganismi. Anche l’applicazione di prodotti nutrizionali al suolo, causano dei cambiamenti nella sua naturale composizione microbiologica.
Pensi che si sia esagerato negli anni passati con gli input?
Certo l’utilizzo indiscriminato e spesso senza motivazioni e controlli di molti input in agricoltura hanno accelerato il processo di spostamento dell’equilibrio verso processi di degradazione e allo stesso tempo hanno disinnescato anche quella resilienza intrinseca che permette al suolo di essere produttivo anche se usato male. Non a caso oggi si parla tanto di “stanchezza del suolo” una problematica legata certamente ad un suo uso eccessivo e all’abbattimento della sua biodiversità.
Come se ne esce?
Per contrastare questi effetti impattanti sul suolo e sulle connessioni tra le piante, è bene introdurre sempre inoculi di microrganismi benefici nel tempo e nello spazio. Infatti, è assodato che l’applicazione costante di microrganismi nel suolo determina una serie di effetti positivi, transitori e cumulativi, ovviamente sulla componente microbiologica ma anche è soprattutto sulla struttura. Microrganismi che una volta applicati nell’agrosistema si sviluppano, crescono e creano una serie di effetti positivi che nel tempo e con il susseguirsi delle applicazioni si accumulano determinando un miglioramento anche nel lungo periodo.
Come vedi l’agricoltura del futuro rispetto a queste scoperte?
L’agricoltura di domani deve necessariamente cambiare paradigma, e mettere al centro della discussione il tema Suolo. Senza demonizzare nessuna tecnologia a priori ma utilizzando tutto ciò che la scienza ci mette a disposizione per fronteggiare le sfide del prossimo futuro in primis i cambiamenti climatici.
Il microbioma può essere una soluzione ai cambiamenti climatici?
I fattori abiotici, tra cui temperature estreme e il cambiamento nella distribuzione delle piogge, oltre ad accentuare i processi di desertificazione dei suoli, rappresentano le problematiche sempre più pressanti che gli agricoltori dovranno affrontare, e di esempi ormai ce n’è sono all’ordine del giorno.
Poi bisogna produrre per 8/ 10 miliardi di cittadini.
A maggior ragione! Sostenere la popolazione in continua crescita e allo stesso tempo rigenerare il suolo e le altre risorse terrestri, è proprio la grande sfida che l’agricoltura deve affrontare, avvalendosi delle nuove tecnologie, tra cui l’uso dei microrganismi in associazione con i biostimolanti. Allo stesso tempo è opportuno affidarsi sempre più a tecnici specializzati, magari formati secondo i dettami di una nuova una visione green globale, in cui il presupposto fondamentale è rappresentato dal “suolo vivo” e dalla consapevolezza che siamo interconnessi e parte integrante dell’ecosistema agrario.