Simonetti, avvocato e saggista, ha indagato il caso Xylella con due suoi libri: la Scienza in tribunale e la Scienza in tribunale 2, la vendetta (Fandango libri).
Ci fai un breve riassunto del caso Xylella? Per chi si fosse perso le puntate precedenti.
Nel 2013 alcuni ricercatori dell’Università di Bari scoprono che degli olivi nella provincia di Lecce soffrono di una malattia (il Complesso del Disseccamento Rapido dell’Olivo o CoDiRo) che è associata al batterio Xylella Fastidiosa, e poi isolano il batterio stesso. Si tratta di un patogeno pericolosissimo; immediatamente partono le comunicazioni all’UE e questa dispone misure di quarantena via via più stringenti, fino a arrivare all’ordine di sradicare e distruggere le piante infette e quelle circostanti (questo per impedire la diffusione di Xyella, che viene trasportata da un insetto vettore, la c.d. sputacchina), misure prontamente attuate dal Commissario straordinario nominato dal Governo, Giuseppe Silletti. Il problema è che sia gli olivicoltori coinvolti, sia alcune parti diciamo dell’establishment cultural-politico, sono violentemente contrari alla distruzione di quegli olivi secolari. Così inizia un fuoco di sbarramento giudiziario. Per primo si muove il TAR, che sospende alcune delle misure di eradicazione; ma presto si comprende che queste misure altro non fanno che dare applicazione a protocolli che non si sono inventati i ricercatori pugliesi o Silletti, ma sono richiesti dall’UE. Quindi arrivano le sentenze della Corte di Giustizia che danno ragione alla Commissione e così i provvedimenti del TAR vengono revocati. Le distruzioni delle piante, perciò, dovrebbero riprendere, anche perché ai primi di dicembre 2015 la Commissione apre la procedura d’infrazione contro l’Italia, proprio per i ritardi su Xylella. Ma ecco il colpo di scena: la Procura della Repubblica di Lecce, negli ultimi giorni del 2015, mette sotto inchiesta per diversi reati i ricercatori che avevano scoperto il batterio in Puglia, alcuni funzionari statali e regionali e il commissario Silletti, e ordina il sequestro degli olivi già destinatari degli ordini di espianto: non si poteva più far nulla, non si potevano espiantare e distruggere gli olivi, sicché la strategia di contenimento di Xylella (già impedita dalle sospensive del TAR nel 2015) andava a farsi benedire anche per il 2016. Già, perché il sequestro venne poi revocato, su richiesta della stessa Procura di Lecce, a fine luglio 2016: ma si noti che veniva revocato perché nel frattempo anche lo stato d’emergenza era stato revocato, la competenza su Xylella da Silletti era tornata alla Regione Puglia, e la Regione Puglia aveva dichiarato che non poteva più fare le eradicazioni perché c’era stato il sequestro! Quindi, per oltre un anno, delle misure di quarantena urgentissime richieste dall’UE sono state ritardate perché alcuni giudici italiani, senza alcun motivo serio, non erano d’accordo. Ovviamente Xylella nel frattempo non è stata ad aspettare i comodi dei tribunali. L’Italia si è presa una bella condanna nella procedura d’infrazione UE (nel settembre 2019) e Xylella non è stata contenuta, e anzi oggi si è diffusa anche fuori d’Italia. Un disastro.
Ma perché è successo tutto questo?
Il problema è che si è utilizzata l’arma dell’azione penale allo scopo di paralizzare decisioni tecnico-politiche che a certi settori della politica e della cultura italiane non piacevano. Il testo del decreto di sequestro è esplicito al riguardo: per esempio, quando si legge che “esistono elementi obiettivi che possono porre delle perplessità sull’efficacia della strategia adottata con il secondo Piano degli interventi del Commissario Silletti”, si sente subito che qualcosa non va. Infattii giudici penali non possono discutere l’“efficacia”delle strategie adottate dall’amministrazione: devono limitarsi a perseguire i reati, e nient’altro. Nel nostro caso, i reati non c’erano, come hanno dimostrato sia la revoca del sequestro, sia l’archiviazione dell’azione penale; l’unica conclusione possibile, quindi, è che i giudici sono intervenuti non già per perseguire dei reati, bensì per influire sul dibattito politico in corso, indirizzandolo in una certa direzione. Non a caso, nel commentare la revoca del sequestro in una intervista, il procuratore capo di Lecce ha invitato la Regione Puglia a “darsi una mossa per salvare gli ulivi” e ha aggiunto che “ci siamo troppo abituati a una magistratura con compiti di supplenza”. Insomma, i giudici hanno agito, nemmeno troppo nascostamente, come ausiliari (“supplenti”) di una politica che non ha saputo o voluto affrontare il problema Xylella assumendosi le proprie responsabilità, magari litigando con l’UE, e ha quindi cercato una sponda nel potere giudiziario, per definizione irresponsabile politicamente.
Ci sono dei rimedi?
Secondo me no, o almeno non rimedi semplici, che si possano adottare da un giorno all’altro. Con questo tipo di intreccio mediatico-giudiziario (“circo mediatico-giudiziario”, lo chiamano alcuni), eventi analoghi sono destinati a ripetersi e con sempre maggiore frequenza: del resto, diciamolo, dopo essersi visti sulle prime pagine, incensati e adorati dai media per mesi e anni, poi è dura ammettere di essersi sbagliati – e ci sono dei pubblici ministeri, in Italia, che si sbagliano molto spesso, quasi sempre. Il bello è che, nonostante le batoste che prendono regolarmente in tribunale, poi questi procuratori continuano a pontificare in TV e sui giornali, come se invece avessero vinto. Chissà poi perché i giornali italiani, che osannano tanto i magistrati inquirenti (cioè quelli che arrestano, sequestrano, confiscano), ignorano o criticano invece i magistrati giudicanti (cioè quelli che, ogni tanto, assolvono). E’ proprio vero che l’Italia contemporanea, come diceva Domenico Marafioti, è la Repubblica dei procuratori (della Repubblica)! E per passare da una Repubblica fondata sulle procure a una fondata veramente sul rispetto della legge e del diritto servirebbe nientemeno che una rivoluzione…(ps: a breve, nella nostra sezione “Lezioni private”, parleremo ancora e di più di Xylella con Simonetti, rimanete connessi)