Nel ricordo dei miei sapori perduti mescolo la cassata siciliana, il gelato al gelsomino, la cannella, le mandorle dei mustazzoli ericini con il cous cous di pesce, le sarde a beccafico, la caponata. Poi ci sono i piatti di famiglia: il brodo con le polpettine, il piscirovo (pesce d’uovo), ovvero la frittata arrotolata, il sugo di mia nonna in cui si inzuppava il pane di nascosto, la carne “ai cento piatti”, come la chiamavo da bambina, un piatto semplice: una fetta di carne cotta al vapore aromatizzata con foglie di alloro. Troppo presto ho lasciato la mia città di mare allungata sulla punta della Sicilia, per andare a vivere da sola. Basta che il profumo del gelsomino mi raggiunga durante una passeggiata romana, in primavera, per tornare alla mia infanzia, alla penombra delle stanze della grande casa. E poi, fuori da essa, in un Oriente che nemmeno conosco. Perché forse la madeleine fa proprio questo: ti consegna un déjà vu che non è mai esistito.
Una cosa è certa: l’agrodolce resta, per me, il contrasto più sensuale della cucina. E della vita.