Perché l’innovazione in agricoltura è difficile da raccontare?
È difficile da raccontare perché l’innovazione è complessa e noi abbiamo un immaginario di agricoltura semplice, come si dice: l’agricoltura semplice di una volta. In realtà era complessa anche prima, solo che gli agricoltori stessi non la conoscevano bene e andavano per prassi empirica. Adesso, per fortuna, la scienza ci aiuta un po’ di più. Però, tutti gli avanzamenti scientifici, ed è questo il punto, essendo di matrice scientifica sono difficili da comprendere, anzi spesso sono controintuitivi. Le innovazioni, insomma, si scontrano contro quella voce che intuitivamente sentiamo salire in noi e (sbagliando) ci dice: tutto ciò è innaturale. Invece è solo un po’ più complicato da raccontare.
Si può dare una definizione di sostenibilità?
È una parola che ha un bel suono e ce ne innamoriamo, ma non è detto che ne comprendiamo il significato. Purtroppo, non abbiamo una definizione chiara di cosa sia la sostenibilità. Se chiedo a qualcuno cos’è un pomodoro, chiunque ce lo saprà descrivere, se poi lo chiede a un addetto ai lavori, uno scienziato, un botanico, un ricercatore questi ci darà altri dettagli utili e informazioni che non avevamo. Riusciamo a definire bene l’oggetto. Discorso diverso per la sostenibilità, diciamo che riusciamo a misurane solo alcuni aspetti, come per esempio l’impatto ambientale. Ma l’impatto ambientale è solo un aspetto della sostenibilità. Diciamo che riusciamo a fornire indicazioni tutto sommato accettabili per i grossi settori, per esempio la produzione nazionale di acciaio è più o meno sostenibile? Se scendiamo in basso nella scala di applicazione, e ci chiediamo questo singolo prodotto è sostenibile? Allora è molto più difficile fornire numeri indicativi.
Un ABC della sostenibilità?
Grosso modo dividiamo la sostenibilità di un qualsiasi prodotto in 4 pilastri
a) l’impatto ambientale generato per creare quell’oggetto (estrazione di metalli, la sintesi della plastica, la trasformazione, l’energia utilizzata, il trasporto ecc.).- Questo pilastro è facile, diciamo così, da costruire. Gli altri tre sono complessi, per esempio:
b) l’impatto economico. Non è facile capire quale sia l’impatto per un singolo alimento, perché non dipende solo dall’alimento stesso: produrre pomodori in Emilia non è come produrli in Puglia, perché quei territori hanno una struttura economica diversa e magari possono offrire servizi diversi e più efficaci. Ancora più ostico terzo pilastro, c) l’impatto sociale. L’impatto sociale di una produzione, a maggior ragione se è produzione agricola, dipende moltissimo dal contesto, territoriale, nazionale o comunitario. L’ultimo aspetto è quello più ignorato, soprattutto nei paesi ricchi ed è:
d) la sicurezza alimentare. Non tanto la certezza di avere un prodotto salubre (chiaro, quest’aspetto è fondamentale) ma la certezza di avere cibo, cioè di avere un prodotto. Noi ce ne siamo dimenticati, ma in altri paesi del mondo ancora lottano per avere il cibo, non si può chiedere a qualcuno di impattare di meno o di avere un minor ritorno economico se ci sono carenze alimentari. Che dire, un prodotto innovativo in genere è anche più sostenibile, ma quest’ultima per non essere una parola vuota, deve essere studiata e testata. Ancora una volta: la ricerca (e i finanziamenti alla ricerca) è l’unica fonte di sostenibilità che abbiamo.