Emanuele Boni e Sessen Daniel Iohannes, sono i fondatori (insieme ad altri studenti dei 3 atenei pisani: Università di Pisa, Scuola Superiore Sant’Anna, Scuola Normale Superiore) del Progetto Bio[Tecno]Logico.
Un’iniziativa di divulgazione scientifica nata nell’estate 2019 per rendere più accessibile il dibattito sulle biotecnologie. E dunque affrontare le seguenti questioni:
Che ruolo hanno nella vita di tutti i giorni (vaccinazioni, alimentazione, medicina, industria…)?
Come promuovere la maturazione dell’opinione pubblica sulle biotecnologie, cioè far cambiare la percezione di determinati temi (ad esempio l’equivalenza tra OGM e male)?
Come, infine, promuovere lo sviluppo di una “coscienza scientifica”, cioè dello spirito critico, degli strumenti per informarsi in maniera critica e discutere basandosi sulle evidenze e non su slogan o per sentito dire.
Sentiamo che dicono…
Perché vi occupate di agricoltura?
Ci viene in mente un aneddoto riportato nel romanzo “I viaggi di Gulliver” di Jonathan Swift (1726), in cui uno dei personaggi, facendo riferimento alla politica in Europa del tempo, fa una dichiarazione alla Norman Borlaug ante-litteram (*), “Chiunque riuscisse a far crescere due spighe di grano o due fili d’erba laddove ne cresceva uno solo, meriterebbe di meglio dell’umanità e renderebbe un servizio al suo Paese tanto più grande dell’intera progenie dei politici messi insieme”. Ecco, le parole di Swift risuonano attuali anche nel 21esimo secolo, ma questa volta urge non solo produrre, ma farlo in maniera sostenibile, e per produrre in maniera sostenibile occorre innovare, e per innovare occorre fare ricerca e divulgare la scienza, e questo è il motivo per cui ci occupiamo di agricoltura. Come giovani studenti, cittadini e futuri agenti di cambiamento, uno dei nostri obiettivi principali è quello di “”rendere un servizio al nostro Paese” contribuendo al suo futuro equo e sostenibile, e crediamo fortemente che l’innovazione in agricoltura sia cruciale per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile. Siamo convinti che per affrontare le grandi sfide del 21esimo secolo, dalla sicurezza alimentare ai cambiamenti climatici, dal declino della biodiversità al depauperamento delle risorse naturali, occorra innanzitutto ripensare ai modelli attuali di produzione e di consumo e al modo in cui facciamo e comunichiamo l’agricoltura.
Vi capita di litigare con amici? Su cosa? Km0 GM? Cose naturali?
Ci troviamo di continuo a dibattere con amici, familiari e colleghi su molti concetti riguardanti proprio il mondo dell’agricoltura: come faremo a sfamare una popolazione mondiale sempre in crescita, ad affrontare le grandi pressioni a cui sono sottoposti i nostri sistemi-agroalimentari e a garantire un futuro sostenibile alle prossime generazioni? Quali soluzioni ci offre la scienza? Quanto c’è di vero nelle congetture e nelle controversie che circondano i famigerati OGM? Ha senso parlare di cibo naturale e organico? E ci siamo trovati ad affrontare queste discussioni anche con attivisti anti-OGM e, a dirla tutta, a subire anche qualche offesa e attacco verbale per le nostre posizioni reputate “pro-OGM” o “pro-biotecnologie”. Molte volte ci siamo trovati anche a dibattere su un dilemma cruciale della comunicazione scientifica, ossia la contrapposizione tra il concetto di consenso scientifico e quello di falsificabilità della scienza e di scetticismo. “Eh, ma se la scienza è falsificabile perché state a parlare di dati, di evidenze e di consenso scientifico che magari verranno poi ritrattati”? Questa è una domanda che si siamo sentiti fare più volte nel contesto delle discussioni sulle biotecnologie in agricoltura, con tanto di esempi di “insuccessi” quali gli OGM, il glifosate etc… Ci piace ribattere con una risposta fornitaci dalla professoressa Alison Van Eenenaam (University of California, Davis):”Lo scetticismo e la falsificabilità sono le basi del pensiero critico, ed è del tutto legittimo che tu ponga in dubbio persino il consenso scientifico, ma se ti vengono presentati dati solidi che sono il risultato di 30 anni di ricerca, di migliaia di studi sottoposti a revisione scientifica, di innumerevoli ore di discussione tra i maggiori esperti sul campo, e continui a non metterti in discussione, e a rimanere nelle tue convinzioni e peggio, a persuadere gli altri su queste convinzioni errate facendo leva sulla paura e sul terrore, non sei più scettico, sei negazionista. E il negazionismo è l’antitesi del progresso”.
Quali sono i problemi che l’agricoltura deve affrontare?
Uno dei problemi principali dell’agricoltura moderna, e dell’agricoltura italiana in particolare, è l’l’immobilismo genetico (2), ossia una visione molto romantica ma distorta che ritrae l’agricoltura come qualcosa di “naturale” e qualsiasi intervento o modifica del patrimonio genetico come qualcosa di “innaturale” e quindi da scartare. Da questa visione nasce la tendenza ad una narrazione basata sui processi piuttosto che sui prodotti delle innovazioni biotecnologiche in agricoltura (tanto radicata nell’opinione pubblica e nei quadri normativi attuali), ossessionata dalle tecniche utilizzate per ottenere piante migliorate invece di concentrarsi sulle caratteristiche del prodotto finale in termini di vantaggi o svantaggi per l’ambiente e per i consumatori. Questa tendenza ci fa molto paura, perché rischia di mettere a repentaglio il progresso scientifico-tecnologico e economico a fronte delle sfide a cui sono sottoposti i sistemi agro-alimentari attuali.
Come spieghereste a un bambino le biotecnologie?
Un modo molto intuitivo di descrivere le Biotecnologie è porle a confronto con la Biologia, come spiega spesso il professor Davide Ederle, Presidente dei Biotecnologi Italiani. La Biologia risponde all’istinto della curiosità: indagare cosa succede nel corpo umano, nelle piante, nei microrganismi, esplorare nel dettaglio i meccanismi che regolano la cellula e le sue componenti. C’è una grande dose di meraviglia in questo! Ma spesso rimane limitata al piacere della scoperta. Tuttavia, quando siamo in grado di prendere quello che abbiamo scoperto e farne qualcosa di utile per la società, quella è una applicazione di Biotecnologia. Sfruttare gli organismi biologici o i loro componenti per produrre beni e servizi, questo è il compito, complesso ma straordinario, di un biotecnologo. Basti pensare ai processi di panificazione e vinificazione che usiamo da millenni, basati sull’uso inconsapevole del processo di fermentazione. E oggi siamo in grado di applicare le biotecnologie in ogni campo, dalla medicina, all’industria, dalla produzione alimentare, alla bonifica degli ambienti inquinati.
Come pensate di comunicare l’agricoltura a un pubblico di non addetti ai lavori?
Parlare di Scienza non è mai facile, perché ciascuno ha background diversi, parte da conoscenze diverse e posizioni ideologiche diverse. Cercare di comunicare senza un terreno comune è impossibile, per questo la prima cosa necessaria per spiegare è ascoltare. Dedicare attenzione all’interlocutore, alle sue conoscenze, alle sue paure, ai suoi interessi. Trovato un punto di partenza condiviso, l’ascoltatore non sarà pubblico passivo, ma si sentirà coinvolt
La sfida successiva è il nodo cruciale della divulgazione: semplificare senza banalizzare. Ogni argomento può essere spiegato con una frase o con un libro intero. La chiave sta nel capire di cosa ha bisogno il nostro interlocutore: quanto tempo è disposto ad ascoltare? Quanta attenzione può mettere? Quali sono i punti che gli possono davvero essere utili, e quali possono essere tralasciati?
Per semplificare la spiegazione, è poco utile ricorrere a grandi quantità di dati o esperimenti (utili nelle pubblicazioni e nelle discussioni scientifiche, ma difficilmente apprezzabili dai non addetti ai lavori), mentre è straordinariamente più potente raccontare una storia che appassioni e coinvolga: è il potere dello storytelling.
(*) Norman Ernest Borlaug è stato un agronomo e ambientalista statunitense, vincitore del Premio Nobel per la pace nel 1970, definito il padre della Rivoluzione verde. La motivazione per il premio Nobel fu la seguente: all’uomo che ha portato pane in un mondo affamato, nella convinzione che chi porti pane porti anche pace.