Parliamo con Denio Mochi, product manager tecnico e agronomico delle colture oleaginose Syngenta Italia
Com’è messa l’Italia col girasole? Dove si coltiva? Quanto se ne importa? A che serve l’olio di semi?
Duecento milioni di tonnellate è la produzione a livello mondiale dei principali oli. Di questi, l’olio di girasole si posiziona per importanza al quarto posto, dopo l’olio di palma, di soia e di colza, detenendo circa il 10% del mercato complessivo nel mondo. Il modello di sostenibilità che ruota intorno alla coltura del girasole in Italia è basato su tracciabilità, tecnologia e agricoltura di precisione e, per queste ragioni, il girasole sta rapidamente conquistando il comparto dei semi oleosi.
A causa dalla guerra in Ucraina, primo produttore al mondo di girasole, e della conseguente chiusura delle importazioni dal Mar Nero, nel 2022 la superficie italiana dedicata alla coltura del girasole ha registrato un forte aumento, passando dai 120mila ettari coltivati nel 2021 agli attuali 130/135mila ettari, una crescita di circa il 10-15%. L’areale che ha la più alta concentrazione di produzione è quella del centro Italia con 90/100mila ettari, che vede al primo posto la regione Marche, con 37mila ettari, seguita da Umbria e Toscana che oscillano tra i 15 e i 20mila ettari. Un’ importante produzione avviene anche nelle altre regioni (Lazio, Molise, Abruzzo) di quest’area. Recentemente si è assistito alla crescita di nuove aree di sviluppo del girasole soprattutto nel Nord Italia, dove primeggia l’Emilia-Romagna, seguita da Friuli-Venezia Giulia e Piemonte. Nel Sud Italia, invece, per questioni legate all’approvvigionamento e alla situazione geopolitica, molti agricoltori hanno convertito parte della superficie coltivata a girasole, arrivando a un totale di circa 3-5mila ettari della superficie. La produzione totale italiana di questa coltura è di circa 120mila tonnellate, a fronte di una richiesta interna che si aggira tra le 600/700mila tonnellate. Questa forte discrepanza tra produzione e fabbisogno interno rende il nostro Paese altamente deficitario nel reperimento dell’olio di girasole e legato all’importazione di circa l’80% della coltura. Una delle caratteristiche più pregiate e distintiva, però, del girasole coltivato in Italia è quella della tipologia alto oleica, capace cioè di produrre un olio di semi ad alto tenore di acido oleico, presente in modo importante solo in pochi altri oli come quello di oliva. L’acido oleico è infatti un acido grasso monoinsaturo che ha varie caratteristiche interessanti. Oggi il 90% del girasole coltivato in Italia è rappresentato da questa tipologia, la cui produzione è favorita dalla posizione geografica, e quindi delle relative condizioni climatiche del nostro Paese, che agevola la produzione di questo acido. Per quanto riguarda i consumi, negli ultimi anni è aumentato di circa il 50% l’utilizzo di oli vegetali. Questa crescita trova spiegazione nel fatto che il prodotto è considerato dai consumatori molto più salutare rispetto al grasso animale. Il seme di girasole è alla base di numerosi filoni produttivi, che vanno dall’olio, apprezzato dall’industria alimentare e in ambito bakery, alle farine per uso zootecnico e alle oleine, fondamentali per l’industria oleochimica ed energetica, ad esempio per il biodiesel.
Quali sono i problemi della pianta e come si può migliorare?
La crescita dello sviluppo della coltura del girasole è stata fortemente dovuta all’innovazione genetica, che ha introdotto sul mercato più performanti sia da un punto di vista qualitativo sia da quello sanitario. L’aumento dell’aspetto qualitativo è evidenziato da un aumento della resa in olio, che è passata da un 40/43% al 50% sulla sostanza secca, cioè priva di acqua, e dalla presenza di acido oleico, che grazie all’innovazione è presente oggi nel girasole per un 90% rispetto all’82% richiesto dall’industria e all’80% che definisce ufficialmente il girasole alto oleico. Nella nostra azienda, la genetica è affiancata da molteplici misure agronomiche, come la rotazione delle colture e un uso efficiente degli input agricoli sempre più attraverso l’utilizzo delle moderne tecnologie digitali, che favoriscono una sostenibilità della coltura non solo da un punto di vista ambientale ma anche economico per l’agricoltore. Questi ibridi, inoltre, riescono a fronteggiare una delle malattie che più duramente colpisce questa coltura, la peronospora. Questo fungo ha una velocità di evoluzione molto alta per cui la resistenza genetica deve essere accompagnata da un ottimo trattamento del seme e da misure di mitigazioni riguardanti essenzialmente le buone lavorazioni del terreno. Il girasole è in continua evoluzione, grazie al lavoro di ricerca che punta a indagare le diverse proprietà insite a questa coltura, come ad esempio l’acido oleico appunto che conferisce al girasole il titolo di “principe” negli usi alimentari in generale e anche nella frittura, grazie all’elevato punto di fumo, ossia il limite oltre il quale l’olio, esposto ad alte temperature, sviluppa sostanze tossiche come l’acroleina.