Ci sono alternative concrete per eliminare del tutto gli agrofarmaci? Risponde Donatello Sandroni, eco tossicologo.
Alternative ai pesticidi? Certo che ce ne sono, ma dubito che possano eliminare del tutto la chimica fitosanitaria. Con la genetica, per esempio, fronte in cui credo molto, si possono sviluppare resistenze a patogeni e parassiti. Ma anche queste resistenze prima o poi vanno naturalmente a cadere: ci sarà sempre un insetto o un fungo patogeno che muterà divenendo insensibile ai meccanismi di resistenza messi a punto dai genetisti. È solo questione di tempo. Quindi la lotta deve in tal caso ricominciare da capo, in un eterno inseguimento fra ricerca che difende e natura che contrattacca. Esempio: se in un vigneto i patogeni trovano il modo di aggirare le resistenze messe a punto dai ricercatori, allora bisogna tornare a trattare con gli agrofarmaci fino all’arrivo delle nuove genetiche, le quali possono impiegare molti anni per essere sviluppate. Stessa cosa per qualsiasi altra coltura. Inoltre, vi sono parassiti e patogeni al momento secondari che vengono controllati dai trattamenti effettuati contro quelli primari. Dunque, se una pianta di vite diviene resistente alla peronospora e all’oidio e si smette di trattare con gli agrofarmaci specifici, salteranno fuori escoriosi e blakrot (il marciume nero), due patologie controllate proprio dai medesimi fungicidi fin lì utilizzati. E non si può pensare a una pianta resistente a tutto. Stessa cosa per gli insetti.
A che servono i fertilizzanti? Risponde Pierluigi Sassi, amministratore Timac Italia.
In generale, i fertilizzanti sono quei prodotti che servono a nutrire le piante, direttamente o indirettamente.Vale per noi e per le piante. Voglio dire, anche per le piante la nutrizione è un aspetto cruciale. I fertilizzanti giusti aiutano le piante a produrre meglio e più a lungo, le rendono più sane e resistenti e, nell’attuale contesto di cambiamento climatico, le aiutano anche a superare condizioni di stress sempre più frequenti. La nutrizione vegetale riguarda comunque principalmente due aspetti, a) La capacità delle piante di assorbire gli elementi nutritivi e b) la disponibilità dei nutrienti nel terreno. All’interno di questi due aspetti, le problematiche da affrontare sono molteplici, tra cui: ottimizzazione dei fabbisogni nutrizionali per ciascuna coltura; tempi e modi di applicazione; apporto, disponibilità e conservazione degli elementi nel terreno; loro efficacia ed efficienza; capacità di assorbimento e mobilità dei nutrienti nelle piante. non ultima la problematica della dispersione degli elementi in eccesso nell’ambiente. A proposito, poi, di questo ultimo aspetto, per evitare dispersioni e dunque facilitare l’assorbimento, oltre a formulazioni granulari o liquide da usare con la fertirrigazione, per non sprecare concime a spaglio, si stanno studiando tecnolgie di protezione dell’azoto così da avere un rilascio progressivo nel tempo oltre ad una trasformazione controllata delle tre forme azotate: la regola è quantitativi giusti di azoto nel giusto mix di forme durante tutto il periodo di fabbisogno che si vuole coprire, ottimizzando così l’efficienza della concimazione azotata e riducendo al massimo le perdite nell’ambiente. Stessa cosa per il potassio. Per il fosforo sono già in commercio formulati che facilitano al massimo l’assorbimento, più del 90% della sostanza viene assorbita dalla pianta
C’è stato un momento in cui si è capito che l’agricoltura inquinava? E che cosa si è fatto? Risponde Alberto Guidorzi, agronomo.
Tra gli anni ‘70 e ‘80 Dopo si è cominciato a capire che i fitofarmaci (nonché il dosaggio) dovevano essere usati in base alla reale presenza del parassita (o a seconda del loro tasso di presenza) nell’ambiente circostante o delle condizioni ambientali che ne favorivano lo sviluppo. Iniziò la ricerca del dosaggio più ecocompatibile, nella scelta nell’uso del fitofarmaco di ultima generazione e studiato per avere meno derive. Interessantissimo sarebbe ripercorrere l’evoluzione positiva dei principi attivi dei fitofarmaci (negli anni 50 si usava arseniato di piombo e estratto di nicotina per uccidere i parassiti, l’aspirante suicida aveva in casa l’arma per suicidarsi….).La riabilitazione non ha interessato solo la chimica, ma anche altre pratiche agronomiche. Si è cominciato a discutere sulla monocultura, si è detto che era insostenibile e che il ritorno alle rotazioni il più lunghe possibili era necessario. Ancora: la leguminosa non poteva essere esclusa dagli avvicendamenti, sebbene non fosse più necessaria per alimentare il bestiame (le stalle venivano dismesse). Le concimazioni poi: non potevano più seguire il principio: “se uno fa bene, due fa bene il doppio”. Si doveva ritornare al principio di reintegrare quello che era stato asportato realmente dalla coltura precedente. L’analisi chimica periodica dei terreni doveva essere la guida. Soprattutto per l’azoto, i cui effetti produttivi tanto avevano impressionato, doveva essere somministrato facendo un bilancio preventivo dei bisogni esterni dedotto ciò che era rimasto disponibile nel terreno, possibilmente distribuirli su una coltura in atto e nei limiti del possibile rateizzandolo lungo il ciclo biologico delle piante coltivate. Negli ultimi 30 anni è cambiato tutto, purtroppo nessuno oggi informa l’opinione pubblica di quali sono i traguardi raggiunti in fatto di livello di tossicità dei fitofarmaci sia verso l’uomo che verso la fauna non bersaglio, si tratta di progressi enormi. Oggi si grida ai residui dei fitofarmaci nel cibo, ma si sottace di dire che negli anni 60/70 non si misuravano, ma c’erano eccome, negli anni 80/90 si riusciva a svelare una parte per milione mentre attualmente siamo a livello di una parte per miliardo. Per forza che il numero di residui aumenta, ma non aumenta la quantità, anzi diminuisce.