Bruno Mezzetti e il suo gruppo ci hanno spiegato che con lo studio delle risorse genetiche e il miglioramento genetico tradizionale (di cui abbiamo parlato nelle precedenti puntate che trovate qui (https://agrifoglio.ilfoglio.it/come-funziona/cosa-fanno-nei-laboratori-universitari-un-esempio-luniversita-di-ancona-prima-parte/ e qui https://agrifoglio.ilfoglio.it/come-funziona/cosa-fanno-nei-laboratori-universitari-un-esempio-luniversita-di-ancona- seconda-parte/) è riuscito ad ottenere nuove cultivar ora diffuse a livello commerciale in Italia (Pesco e Fragola), in Europa, Usa, Canada, Cina e Giappone (Fragola).
Le nuove cultivar di fragola sono apprezzate per la loro diversa epoca di maturazione, qualità dei frutti e in particolare rusticità delle piante che tra l’altro resistono a diverse malattie. Più curiosa è stata la storia di come abbiamo rilasciato una cultivar di pesco.
Tra l’altro, a proposito di ricercatori e dibattito pubblico (cosa fanno questi nei laboratori?), è interessante notare come nascono alcune ricerche. Mezzetti racconta che un giorno un agricoltore della zona ha cercato quelli dell’Università per segnalargli che nel suo campo di pesche, coltivato con una vecchia varietà la Stark Sartun (piatta tomentosa e molto buona), aveva osservato un ramo con frutti dalla buccia liscia.
Allora i nostri- racconta Mezzetti – hanno innestato le gemme di quel ramo e hanno visto che venivano fuori non più pesche ma nettarine piatte con le stesse caratteristiche qualitative. D’accordo con l’agricoltore abbiamo rilasciato una nuova varietà denominata ‘Concettina’, dal nome dell’agricoltore.
È questo un caso- spiega Mezzetti- di modificazione genetica mediante mutagenesi naturale. Questa via è molto interessante, ma essendo casuale non è facile da applicare per l’ottenimento di risultati specifici. Per questo, ormai sono quasi 20 anni che Mezzetti cerca di applicare le biotecnologie genetiche per risolvere i problemi non risolvibili con le tecniche tradizionali: cosa, come dicevamo, non facile, soprattutto per le piante da frutto perenni. Per queste specie, in particolare, gli strumenti biotecnologici offrono opportunità integrative a quelli tradizionali, fondamentali per rendere le coltivazioni più sostenibili e sicure.
Tutto è iniziato nel 2000, quando Mezzetti, ha collaborato con un gruppo di ricercatori italiani che erano riusciti a sviluppare una tecnologia genetica capace di favorire lo sviluppo dei frutti anche in assenza di fecondazione, mediante partenocarpia. Perché? A che serve?
Perché, si era riusciti a dimostrare che con questo strumento genetico si poteva eliminare l’uso di fitormoni nella coltivazione in serra di pomodori, melanzane, fragola, lampone e uva da tavola.
Successivamente, dal 2000 al 2009 Mezzetti ha gestito uno dei pochi campi con piante OGM in Italia, l’unico mai fatto sulla vite. Con i risultati ottenuti presentarono un progetto di ricerca alla Comunità europea finalizzato alla diffusione di questa tecnologia.
Tuttavia, il progetto fu bocciato non perché una tecnologia considerata a rischio ma con la motivazione che tale tecnologia se applicata avrebbe compromesso le attività delle industrie chimiche produttrice di fitormoni ad uso industriale.
Da questa risposta – dice Mezzetti_ si è consolidata la mia convinzione che la battaglia contro gli OGM è solamente finalizzata a proteggere le industrie chimiche che non vogliono perdere fette di mercato e allo stesso tempo consolidare il controllo totale delle biotecnologie in mano a poche multinazionali. Questi sono a mio parere i grandi burattinai dei movimenti anti-OGM.
L’orto OGM, poi, è stato distrutto nel 2009, erano scadute le notifiche e tutti (comunità scientifica per prima) si erano piegati alla seguente logica: meglio dire che le biotecnologie non servono,cosi si possono avere finanziamenti.
Mezzetti ha continuato a fare ricerche (in laboratorio, ovvio) ottenendo nuove piante di fragola modificate per la resistenza a funghi e capaci di produrre frutti più ricchi di sostanze nutrizionali.
Comunque, il maggiore impegno di questi ultimi anni è stato dedicato al tentativo di indurre resistenza alla Sharka, un virus che ha distrutto la coltivazione delle drupacee (pesco, albicocco e susino) in diversi areali del nostro paese.
A questo fine – dice Mezzetti_ abbiamo messo a punto una tecnologia capace di bloccare il virus silenziando i suoi geni di replicazione. L’idea è quella di modificare il portinnesto rendendolo capace di produrre gli RNAi di silenziamento trasferendoli nella chioma,in modo da rendere l’intera pianta e i frutti resistenti al virus. L’ipotesi è molto bella ma ancora non siamo riusciti a confermarla nel sistema pesco-Sharka per le difficoltà che si hanno nel modificare questa pianta. Speriamo di riuscirci prossimamente cosi da portare i risultati agli agricoltori che hanno subito i danni della Sharka, che forse riusciranno a far sentire la loro voce per chiedere di poter utilizzare queste nuove piante resistenti.
La stessa tecnologia RNAi è ora applicata anche per la difesa della botrite in fragola e vite e della peronospora in vite. I risultati preliminari in laboratorio risultano molto interessanti, appena saranno confermati anche in serra si inizierà la procedura per traferire la sperimentazione in campo.
Ma come pensare di fare la sperimentazione in campo, visto la cattiva comunicazione e i pregiudizi che le biotecnologie portano con sé? Solo mostrando risultati di piante capaci di risolvere importanti problemi per la nostra agricoltura, come riduzione pesticidi, miglioramento capacità produttiva e qualità, sarà possibile sviluppare un nuovo approccio comunicativo basto sul mostrare le nuove piante e i benefici che possono apportare. Il sostegno degli agricoltori sarà fondamentale per valutare e divulgare all’opinione pubblica i loro benefici per la società.