Spesso ci fidiamo di alcune parole perché ci rassicurano: biologico, per esempio. Ci piace pensare a un’agricoltura che non fa uso di agrofarmaci di sintesi ma solo naturali. Ma a parte che (per citare Angelo Moretto), l’estratto di piretro (crisantemo) contiene delle sostanze che hanno gli stessi effetti dei piretroidi di sintesi, un’azione insetticida legata all’interferenza con una certa funzione del sistema nervoso. Quindi, non esiste alcuna differenza fra il composto di sintesi e quello di derivazione dal crisantemo. Anzi, è più facile che il derivato del crisantemo contenga impurità non note o non controllate che potrebbero avere effetti avversi sull’uomo: si segnalano infatti più frequenti reazioni allergiche in coloro che utilizzano l’estratto di crisantemo (piretrina) rispetto a coloro che usano un piretroide di sintesi.
Ma a parte questo se vogliamo diminuire la quota di residui dobbiamo concentrare la nostra attenzione sulle pratiche e sui disciplinari che regolano le suddette pratiche. Per entrare nel merito, abbiamo fatto tre domande a Marco Brigliadori di Apofruit
E’ possibile convertire tutta la produzione in biologico?
Personalmente sono più propenso alle integrazioni rispetto alle soluzioni a senso unico, l’esperienza mi suggerisce che l’integrazione possa essere la soluzione auspicabile, per un’agricoltura sostenibile, in grado di dare risultati produttivi ed economici soddisfacenti. E’ positivo che lo sviluppo dell’agricoltura biologia sia incentivato dalle politiche comunitarie, ma l’azione legislativa non può essere l’unica motivazione per un aumento delle superfici condotte in biologico, alla base ci deve essere una scelta consapevole dell’azienda agricola, scelta che oltre ad essere dettata da motivazioni, definiamole genericamente “ambientali” può e deve comprendere anche motivazioni economiche. In questi anni la conversione al biologico per alcune tipologie di aziende (piccole dimensioni, prodotti di nicchia) ha assicurato una PLV tale da salvaguardare il reddito. Producendo in Biologico, ci si può aspettare una resa inferiore, è vero che per alcune specie siamo in regime di sovra-produzione, e quindi una diminuzione delle quantità potrebbe essere positiva, se controbilanciata da un aumento dei prezzi, ma la domanda è: se il prodotto Biologico fosse l’unico presente sul mercato, la sua remunerazione sarebbe sufficiente a creare reddito alle aziende agricole? ad oggi questo è possibile in virtù della buona differenziazione di prezzo del prodotto biologico rispetto al convenzionale.
Si possono integrare vari tipi di produzione, se sì come?
Certamente, l’integrazione è un processo iniziato negli anni 80/90quando l’agricoltura biologica, si è fortemente sviluppata parallelamente ad una agricoltura “integrata” che cercava di coniugare l’utilizzo dei mezzi di produzione tradizionalmente chimici con soluzioni alternative a basso impatto (Bacillus, Virus, confusione sessuale, ecc.) ed è un processo continuo, tuttora in corso. L’agricoltura convenzionale, nel tempo ha fatto proprie le tecniche alternative che negli anni si sono sviluppate, si è creata una sorta di “contaminazione” che ha avvicinato l’agricoltura convenzionale a quella “Integrata”, e quest’ultima a quella “biologica”. Le tecniche a basso impatto possono essere applicate, indipendentemente dal tipo di produzione; un esempio comune a diverse specie, è l’utilizzo della confusione sessuale, per alcuni insetti la base della difesa, utilizzata da sola nelle coltivazioni Biologiche, eventualmente integrata con insetticidi nelle coltivazioni convenzionali.
Con gli strumenti a disposizione oggi è possibile ridurre i residui negli alimenti e nell’ambiente e limitare le emissioni di CO2?
Ancora una volta ricordo l’integrazione, anche nella gestione dei residui l’applicazione integrata di tutte le tecniche a disposizione permette una migliore gestione dei residui. Un esempio: sulla coltura del melo applicando le tecniche a basso impatto, quali confusione sessuale, copertura degli impianti con reti, utilizzo di virus della granulosi (cydia pomonella) utilizzo del metodo Attrack and kill, è possibile ridurre significativamente le s.a. utilizzate per la difesa, con una conseguente minore presenza di residui sulle derrate, obiettivo che si può affinare con una applicazione mirata degli agrofarmaci, in relazione alle fasi fenologiche, avendo a disposizione informazioni sul profilo residuale delle singole s.a. In questo modo è possibile limitare il numero e la quantità di residuo alla raccolta. Naturalmente un minore imput chimico (concimi, agrofarmaci, ecc.) comporta, sia per le minori quantità utilizzate, sia per i minori consumi correlati (acqua, attrezzature, carburante) una diminuzione delle emissioni di CO2. Voglio però ricordare che il nostro settore, deve obbligatoriamente sottostare alla stagionalità, alle condizioni climatiche sempre più imprevedibili, alla recrudescenza di parassiti e funghi che a volte possono mettere in crisi il settore perché difficili da contenere con i mezzi a disposizione. Problematiche recenti a forte impatto sulla produzione, sono i danni causati negli ultimi anni dalla cimice asiatica (Halyomorpha halys) e dalla maculatura bruna (S. vescicarium) nella coltura del pero dell’Emilia-Romagna. Sono situazioni di questo tipo che mettono in discussione il “consolidato” ed obbligano il settore alla ricerca di nuove soluzioni.