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Home L'intervista

L’olio e (è) la democrazia

da Antonio Pascale
08/03/2023
in L'intervista
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L’olivo è il risultato di uno splendido ma contorto adattamento, tra profondità e superficie, tra esterno e interno. Per questo suo sforzo ricorda un po’ la complessità della democrazia.

Del resto, l’olivo è una pianta che racchiude simboli ancestrali: forza, coraggio, intelligenza, fedeltà. E poi le storie. Pensate ad Ercole! Fu lui a portare l’olivo sul monte Olimpo, di ritorno da una delle sue imprese. E Ulisse? Lui intagliò nell’olivo il suo letto nuziale, e se ne intendeva, visto che la clava di Polifemo era di olivo, e ne prese una scheggia per accecare il gigante. 

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Solone usò l’olivo per dividere i cittadini in quattro classi di ricchezza, a seconda, appunto, dell’olio posseduto, e fece piantare olivi sacri a Zeus impedendone l’abbattimento, se non per gravi motivi o per la costruzione di zone sacre.

Gli olivi ci sono sempre stati, da molto prima che ci fossero i Sapiens. Sappiamo che il bacino di origine è il Mediterraneo, le sue coste calde, assolate e asciutte: l’olivo detesta l’umido e resiste alla siccità, cresce e si rafforza in buona compagnia, insieme al corbezzolo, al lauro, al carrubo e all’oleastro. 

Comincia dalla pianura, ma se ne va su per le colline, si sviluppa in mezzo al pietrame, strafottente: tu gli tagli il tronco per intero e lui ricaccia un pollone, e dal pollone una pianta.

Per questo gli uomini lo notano, una donna prende le olive (ci sono insediamenti del Paleolitico, in Francia meridionale, in Germania, persino sui Pirenei sono stati ritrovati noccioli di oliva), comincia la domesticazione.

Dove? Nella solita mezzaluna fertile: qui sono stati selezionati i primi semi di farro e di orzo, qui li hanno seminati a spaglio, limitandosi a sarchiare appena il campo, qui hanno raccolto le spighe mature, poi macinato le cariossidi, fatto il pane. Qui le prime capre e pecore, la lana, il latte, i formaggi, qui l’uva è diventata vino e qui è nata la nostra civiltà: il guardiano, il simbolo di tutto questo era (è) l’olivo.

L’olivo ha imparato ad adattarsi alle estati mediterranee. Per esempio, le foglie chiudono i pori, spesso si arrotolano come tubicini nella direzione dello stelo. La pianta appare come stordita, rintronata dal sole. Il movimento (le foglie che si arrotolano) protegge il lato inferiore, quello poroso e argenteo. Questo riflesso è dovuto a migliaia di cellule trasparenti poste sugli steli: sono dei microscopici parasole, mantengono il vapore acqueo attorno ai pori, come se ci fosse un cuscinetto d’aria umida. 

Poi ci sono gli olivi secolari. Guardate i tronchi, con quelle creste cosí contorte e belle, espressioni del movimento della radice nel sottosuolo: quei tronchi ricordano il nostro cervello: anche questo organo è il risultato di un adattamento, rispondiamo agli stimoli e ci muoviamo di conseguenza, a volte bene, ma spesso male. Le creste, i buchi, i nodi, esprimano dunque sia le potenzialità sia le difficoltà di noi sapiens. 

Parliamo di Olivo e di democrazia.

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