L’abbiamo detto: ci si ammala consumando cibo e bevande. Secondo le stime del Center for Desease Controland Prevention del 2013 (CDC – www.cdc.gov), 1 americano su 6 subisce gli effetti di contaminazioni e infezioni alimentari. Quindi non tanto i presunti residui, ma malattie causate da una varietà di batteri, virus e parassiti. I norovirus costituiscono la principale fonte di infezione, seguiti da Campylobacter, Salmonella e E. coli, ma le ospedalizzazioni sono ingran parte provocate da Clostridium botulinum e Listeria. Già nel 2000 e poi nel 2005 l’Italia, e l’Europa in generale, hanno attraversato periodi di crisi dovuti rispettivamente alle zoonosi BSE, con 120 vittime solo nel RegnoUnito, e influenza aviaria, con 369 contagi e 247 morti, fenomeni che hanno comportato una caduta dei consumi.
Dai residui ci proteggono le buone pratiche agricole, che ci permettono di ridurre la quota di agro farmaci, e poi gli studi che certificano le classi di tossicità e pericolo di una molecola, per le intossicazioni alimentari.
L’innovazione più importante è quindi rappresentata da una serie di normative, nazionali e comunitarie, che esaminando le buone pratiche agricole e analizzando gli studi sul pericolo di alcune molecole, prevedono e stabiliscono tenori massimi di alcuni contaminanti nei prodotti alimentari (ad esempio, nitrati, micotossine, Pb, Cd, Hg, Sn, 3-MCDP, diossine e PCB, IPA).
Queste normative hanno fissato limiti sia per i contaminanti delle acque potabili, sia per i valori massimi di residui delle sostanze attive (fitofarmaci, farmaci veterinari e sanitizzanti) nei prodotti destinati all’alimentazione, limitazioni per gli additivi e per i materiali a contatto con gli alimenti e livelli massimi di sostanze indesiderabili nei mangimi.
La conoscenza e le nuove acquisizioni e il metro condiviso con cui si misura sono le migliori innovazioni che possiamo auspicare e per cui dobbiamo combattere.
Per saperne di più
https://sivemp.it/wp/wp-content/uploads/2019/03/file_1487689684.pdf