A volte penso la colpa sia tutta degli americani. Non c’entra il patto Atlantico che sottoscrivo con piena fiducia. La colpa è quel messaggio che passa attraverso le consuete, narrazioni, edulcorate, buoniste d’oltre oceano, siccome il tempo è denaro, vai con i tre atti e passa la paura. Non so se proposito di piante (in realtà funghi) avete visto la recente serie su Netflix tratta dal libro di Micheal Pollan, come cambiare la vostra mente – seguo sempre Pollan, perché è bravo, suggestivo, ma sempre un po’ impreciso sulle cose importanti.
Pollan poi piace a tutte le persone che parlano di agricoltura intensiva al ristorante slow food un po’ costoso mentre mangiano, mangiano e mangiano. Come si fa a cambiare la nostra mente? Usando – ci dice Pollan- alcuni acidi. Niente in contrario, ma quello che mi sorprende è il racconto del trip da parte degli utenti.
Uno ha un disturbo compulsivo che lo fa soffrire, bene, si sottopone a terapia con sostanza lisergica e viaggia e cosa vede? Vede un evento traumatico accaduto anni orsono. Due bambini lungo un crepaccio – uno è il protagonista. Un bambino cade e muore- l’amichetto del protagonista. Da allora – si suppone- il nostro protagonista, per paura di mettere un piede in fallo, sviluppa la mania dell’ordine e il conseguente disturbo compulsivo che gli rovina la vita. Però grazie all’acido lui vede sé stesso dapprima precipitare, poi essere assorbito dalla terra, poi diventare seme, poi diventare albero, poi nutrire tutti con le proprie fronde. Si sveglia ed ecco qua trauma rivissuto, favola raccontata, disturbo scomparso.
Che bello se la vita fosse così e se gli acidi fossero così. Una cura collettiva, una bella storia in tre atti e non ci metteremo a fare la guerra e a bloccare i porti col grano ucraino. Insomma, formule semplificate siffatte portano a farla facile, e cioè, abbassare l‘ostacolo per saltare con un oplà. Capite il timore che poi uno sviluppa quando, fatto il pieno di formule, poi ascolta dichiarazioni tipo: un milione, ma che dico, dieci milioni di alberi? Si soffre pensando agli equivoci di cui sopra e alla facilità con la quale pensiamo di affrontare problemi. Che poi non si risolvono e diventiamo un popolo di frustrati perché il programma di allenamento non era per noi. Tocca dunque allenarci, conoscere dapprima il percorso che mette in comunicazione noi e ambiente, sapere che questo percorso non porta affatto alla costruzione del paradiso terrestre dove leoni e agnelli mangiano erba ma di un bosco col suo specifico percorso tortuoso. Porta, con tutto il rispetto per Bernini, a sostenere le ragioni di Borromini con le sue cupole che per ascendere al cielo si avviluppano tortuosamente, contro i colonnati che accolgono e poi non si curano di che farne degli accolti. Bisogna conoscere gli alberi, le piante per capire come e perché usarle.