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Piantare alberi? Certo che sì, ma poi…

da Antonio Pascale
10/08/2022
in Editoriali
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Un giorno sì e un giorno no si parla di alberi: quanti ne piantiamo? Un milione di alberi, dice Berlusconi, no, quattro milioni dice Bonaccini. Così finisce che un giorno sì e un giorno no sono felice per via delle suddette dichiarazioni: bello piantare alberi e bello anche il gioco al rialzo – anche se queste promesse mi ricordano Fantozzi e gli altri impiegati, che per farsi belli con il Visconte Cobram promettono che andranno in bici per 50, no che dico, 100 km., e così via. 

Però, siccome meglio piantare che non piantare, sono felice, e tuttavia poi finisce che passeggio e vedo uno che taglia un prato, privato o pubblico che sia. Domanda: perché tagliare l’erba con questo caldo? Arrivano le risposte: “come perché? Ordine ci vuole, ordine! Cosa sono tutte quelle specie che crescono disordinatamente?” In realtà con questo caldo, con questa siccità, se non puoi irrigare, tagliare il prato significa condannarlo a morire (è logica: il prato non fotosintetizza, va in stress, deve ricostruire l’apparto fogliare perduto, non ha acqua a sufficienza e muore). 

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Poi delle volte capita che partecipo a un convegno e mi chiedono: piantiamo alberi? Certo che sì, un milione, no, quattro milioni, dieci milioni. Evviva, applausi. Poi certo, andrebbero irrigati e già qui qualcuno tra il pubblico si defila.  Poi qualcuno annuncia: domani potatura. Arriva la potatura e potatura non è, ma semplice brutale capitozzatura e vedi questi magnifici Olmi trasformati in mazze di scopa, paesaggio rovinato, senso di morte e annuncio certo di futuri stress per la pianta, che sicuro diventerà ancora più debole e si ammalerà. 

Vedrete come alle prime piogge cadranno i rami, qualcuno si farà male, poi qualcuno dirà basta alberi che ci cadono in testa, tagliamo tutto, ma quale milione no anzi quattro milioni di alberi.  Episodi così, mi rovinano la giornata, abbattono la fiducia che ho nelle promesse dei politici e degli assessori e di quelli che amano prendersi gli applausi. 

Ma soprattutto, episodi così segnalano due equivoci duri a morire. Il primo: che la natura sia ordine, dunque fare più bello il pianeta significa nella sostanza tagliare il prato all’inglese, per renderlo coerente e ordinato. Un’idea di natura profondamente antropomorfizzata, addomesticata, un po’ come accade per alcuni animali che strappiamo dallo stato selvatico per farne nostri esecutori di ordini nonché attori per video molti carini su Instagram: sinceramente, esagerato. 

È l’idea di natura stile paradiso terrestre perduto, dove – diceva Mark Twain nei diari di Adamo ed Eva- leoni e agnelli erano entrambe specie vegetariane e parlavano con noi e noi dormivamo tra le loro zampe, serpente escluso. 

Finché questo equivoco durerà non ci sarà davvero salvezza, perché non ci sarà conoscenza delle dinamiche di un determinato ambiente, naturale o meno. 

Da un lato ci dichiariamo arroganti figli di Icaro e facciamo mea culpa (che poi ci viene meglio quando accusiamo gli altri o un generico uomo) dall’altra vogliamo ricostruire con tutta la presunzione e l’egoismo del caso il giardino fatato e incorrotto senza renderci conto che quel giardino ospiterebbe a stento Adamo ed Eva. E forse non darebbe alimenti neppure per la loro progenie, figuriamoci per 8 miliardi di cittadini: avete presente quei tizi che si ritirano nei boschi o sulle alture e poi condannano chi sta in città? Avete presente il controsenso? Se tutti ci trasferissimo nei boschi, addio boschi e addio pace. 

L’altro equivoco è nella vaghezza di certe dichiarazioni, per cui sembra che tutto sia facile, basta usare la formula magica: piantare un milione ma che dico, quattro milioni. Bene, bravo, bis. Ma un momento, ce l’abbiamo abbastanza terra? Mica vogliamo fare quelle tristi aiuole dove gli alberi non radicano a sufficienza e poi cadono al primo temporale. E chi irriga? Chi pota, chi cura, chi concima? Quali alberi? Mica sono tutti uguali? Mica so tutti utili? Soprattutto, sappiamo come si fa? O pensiamo che siccome la natura è di base un giardino ordinato e incantato poi si autoregola e in barba alle leggi universali darwiniane produce bellezza, ordine, diversità ecc. ecc., nonché agnelli e leoni che dormono insieme? Chiedetelo a quelli di Pompei mummificati dalla lava, che effetto fa la natura. 

Colin Ward diceva sempre che il pensiero utopistico si occupava di tre cose, la città, (come costruirla e per chi), i bambini e le automobili, come fare a non prenderle più: al centro ci sono gli alberi. Ma non basta la dichiarazione, è necessario occuparsi seriamente degli alberi.

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