“Il ruolo della forestazione nella città nel dibattito attuale il tema della ‘forestazione’ risulta oggi molto performativo, perdendo a volte la ricchezza che questo termine contempla. Si tende a considerare l’atto del forestare una addizione ‘verde’, che non tiene conto della ricchezza e varietà degli elementi, delle azioni e combinazioni che entrano in gioco nelle fasi della sua formazione. L’uso indiscriminato della parola ‘verde’ – riferito a tutto ciò che riguarda il mondo vegetale – banalizza le risposte alla crisi ambientale, distraendo dalla comprensione del senso profondo e del ruolo fondamentale delle piante e delle loro implicazioni viventi (Mancuso, 2021). La ‘verdolatria’ (Metta, 2019) ci fa sentire esonerati dall’indagare quali siano le forme migliori perché il progetto di forestazione si confronti con i temi della città contemporanei”.
“Rifacendosi alla definizione della FAO secondo cui “la foresta (o bosco) è una superficie di almeno 0,5 ettari con alberi capaci di raggiungere almeno 5 metri di altezza che con la loro chioma ‘coprano’ almeno il 10 per cento del terreno, si comprende il peso ecologico dell’azione, ma anche le sue implicazioni culturali e sociali, corrispondenti non ad una spazialità frammentata, un insieme di giardini o una summa di viali alberati, né a parchi pubblici o formazioni arboree in ambito agricolo. La foresta, dunque, è una produzione estesa e definita di forme, tempi, contenuti, che la definizione stessa di paesaggio della CEP richiama, quando esplicita che il paesaggio non si riferisce a contesti di imperitura bellezza da contemplare, immobili e congelati, ma che, al contrario, esso preveda interazioni e alterazioni, interferenze e perturbazioni, nascita e rovina, nelle accezioni più varie che questi momenti assumono. Così anche la città, in quanto paesaggio, è anch’essa continua mutazione (Galì, 2019) e vive perché è in grado di mutare col tempo. In questo processo di evoluzione perenne l’operazione di forestazione urbana è parte in causa, argomento di un discorso che deve riformarsi”.
“Foresta, dunque, era in origine un termine giuridico che si riferiva alla terra in cui un decreto reale impediva di entrare. Se un terreno comune fosse stato destinato a foresta non si sarebbe potuto più coltivare né sfruttare né occupare quel suolo. In Inghilterra addirittura la foresta era fuori dalla common law, esisteva ma al di fuori del dominio pubblico. Le trasgressioni compiute in ambito forestale non erano pertanto punibili dalle leggi ordinarie bensì da un corpo di specifiche leggi forestali. In questi termini, si formularono le prime leggi per la preservazione della natura. Infatti, grazie a queste leggi si sono conservate quelle aree naturali che altrimenti sarebbero scomparse dopo i grandi disboscamenti che avevano seguito la messa a coltura di gran parte dei territori europei”.
“Il confine tra la città e la foresta diventa perfettamente visibile nella tragedia classica: Ovidio nelle Metamorfosi teorizza un’osmosi tra la legge umana e la legge naturale, ma naturalmente questa natura nasconde già la nostalgia di una natura perduta. In Virgilio questa natura perduta è senz’altro più evidente ed è già rimpianto per la civiltà agricola che è stata spazzata via dalla città confondendo il rigore dell’animo e le mitologie. Romolo, il fondatore della città, è una creatura boschiva per eccellenza, allattato da una lupa che fa nascere Roma in una radura, tracciando il confine della foresta oltre la quale vi è la res nullius. E questa doppiezza resterà anche in epoca medievale perché allegoricamente la foresta medievale è una selva oscura, quella che ci illustra Dante come luogo del peccato e della negazione di Dio. Nei romanzi cavallereschi la foresta diviene invece il luogo dello sconosciuto. Robin Hood infatti vive la foresta ed è un fuorilegge ma la sua legge è quella vera, più vera di quella della corte.”
“I rinascimentali formulano per primi una domanda ecologica. Parlandoci della foresta che muove contro Macbeth e della vendetta della natura, Shakespeare ci avvisa che se distruggiamo la natura compiamo allo stesso tempo un’autodistruzione. Sarà poi l’Illuminismo a parlare di responsabilità nei confronti della foresta in un modo molto diverso, segno di un cambiamento epocale. Nell’ottica illuministica la foresta va sfruttata responsabilmente per aver risorse di legno; non esiste ancora il concetto di luogo, di habitat, di specie diverse, ma ci si avvia sui temi della produzione.”
“Interessante leggere il modo in cui due guardiani reali a distanza di tempo si contrappongono nella concezione della foresta come bene. John Manwood, un giurista, guardacaccia della foresta di Waltham, ma soprattutto un naturalista, nel 1592 raccolse in un trattato tutte le leggi preposte alla tutela e alla conservazione delle foreste e alla protezione dei territori selvaggi. Quelle leggi pur vigenti nella sua epoca non erano applicate. Solo il monarca, egli affermava, può salvare le regioni selvagge dai danni dello sfruttamento umano. Il guardiano del Parco di Versailles, Monsignor Le Roy, esordisce invece con una definizione formale ed esauriente della foresta secondo il modello illuminista dell’Encyclopédie, ovvero un territorio distinto da quelle aree più limitate chiamate boschi, coperto anch’esso da alberi ma destinati al mercato. La foresta è in questa definizione concepita in termini di legname che a sua volta determina un valore d’uso tralasciando del tutto i diritti degli animali selvatici che vivono nella foresta. L’epoca romantica sogna benevolmente il selvaggio, la foresta è luogo dell’eterna infanzia.”
“Leopardi vede nel bosco il regno della memoria che sola può salvare il presente, la nostalgia del passato. La foresta nella sua trasposizione simbolica ha sempre evocato un rapporto con il sacro, un luogo in cui le divinità si mostravano, una teofania che dava luogo alla costruzione di un tempio. Tempio della natura in cui gli oggetti perdono la loro oggettività e iniziano ad emanare quella che Walter Beniamin chiamerà aura, come la perduta affinità tra soggetto e oggetto. Nella foresta di simboli si recupera la sfera delle corrispondenze nella loro unità indifferenziata, il senso di duplicità di vaghezza porta il bisogno del pensiero a relazionarsi.”
Testo tratto da “Paesaggi pionieri per contesti in trasformazione La forestazione urbana tra mito, ecologia e bellezza”.