Secondo un report del 2017, in natura ci sono circa 1400 virus diversi in grado di attaccare specie selvatiche e specie coltivate. Uno di questi è il virus della Sharka, responsabile della cosiddetta Vaiolatura delle Drupacee così definita a causa delle caratteristiche maculature presenti sulla superficie dei frutti infatti: di fatto sono invendibili ed immangiabili. Non ci sono rimedi efficaci, fatta eccezione per la massiva eradicazione di tutti gli esemplari infetti con conseguenti perdite economiche elevatissime per l’intero settore. Oppure possiamo provare a utilizzare le Nuove Biotecnologie di breeding, in acronimo, NBTs.
A proposito del virus della Sharka, all’Università di Ancona, si sta cercando di indurre “resistenza genetica” a Sharka in pesco sfruttando appunto le NBTs. Ma l’obiettivo è più esteso, per esempio lavorare sulla resistenza ai patogeni di diverse specie da frutto, introducendo in diverse piante coltivate altri tipi di “resistenze” quali ad esempio la resistenza a determinati stress di tipo ambientale (ad esempio tolleranza alla siccità e al freddo), caratteristiche fondamentali per proteggere le colture da repentini mutamenti climatici e/o per estenderle a terre “marginali” attualmente non in uso.
Tra le NBTs troviamo una tecnica chiamata dell’RNA interferente (RNAi), che può offrire un’alternativa al massiccio uso di agrofarmaci. Nella sostanza, l’RNAi viene attivato da molecole di RNA a doppio filamento (dsRNA), e negli ultimi anni alcuni gruppi di ricerca in varie parti del mondo hanno dimostrato che anche la sola applicazione esogena di queste molecole sulla pianta può indurre una difesa contro diversi tipi di patogeni (funghi, virus e insetti), in modo sequenza specifico. Questa tecnica è rivoluzionaria, si chiama SIGS (Spray-induced gene silencing), ci sono moltissimi studi a riguardo, tuttavia queste molecole si degradano molto facilmente nell’ambiente, è quindi necessario sviluppare dei formulati appropriati.
Infine, c’è da sottolineare che le nuove biotecnologie di breeding rappresentano uno strumento utile da integrarsi alle metodiche tradizionali di miglioramento genetico classico, perché riescono ad accorciare di molto i tempi per l’ottenimento di una varietà con un nuovo tratto di interesse, soprattutto per quanto riguarda le specie da frutto.
Ad esempio, per introdurre in una varietà commerciale una resistenza ad una malattia attraverso incrocio classico ci vogliono circa fra gli 8 e i 20 anni di incroci e re-incroci, che portano spesso anche all’inserimento di tratti indesiderati insieme a quello di interesse (linkage drug effect), rappresentati anche da allergeni o molecole prodotte dalla pianta stessa che, se presenti in dosi eccessive, diventano tossiche per l’uomo.
Con un programma di miglioramento genetico attuato attraverso l’uso di strumenti biotecnologici si può accorciare di molto i tempi, ci vogliono circa da 4 a 6 anni per raggiungere lo stesso risultato.
Conclusione? Abbiamo a disposizione nuovi strumenti in grado di rendere una pianta resistente a un patogeno o insetto in modo stabile, utilizzando strumenti come l’RNAi o il gene editing, ma anche attraverso l’applicazione esogena di molecole già presenti in natura (l’RNAi è un meccanismo che si è evoluto nelle piante come strumento di difesa), che agiscono in maniera sequenza-specifica contro uno target preciso, evitando così qualsiasi modifica ereditabile nel genoma dell’ospite. Tutto ciò sarà utile soprattutto per preservare le varietà locali, aiutando l’economia del territorio, ma soprattutto per garantire la sicurezza ambientale.
Ma se si realizzerà o meno dipenderà dall‘immaginario collettivo. In Europa da una parte ci sono i buoni propositi, come Farm to Fork, dall’altra alcuni strumenti validi sono classificate come OGM, in quanto il metodo con cui le si è ottenute si basa su tecnologie del DNA ricombinante, quindi non si guarda tanto al prodotto ottenuto (product-based), ma come lo si è ottenuto (processed-based). Lo stesso vale anche nel caso di piante “cisgeniche”, in cui il nuovo tratto inserito è costituito da sequenze geniche che provengono da specie geneticamente compatibili, un po’ come si fa con il breeding classico, ma con tempi più brevi e senza alterare lo standard qualitativo della specie d’interesse.
Il paradosso è che nei laboratori si continua a lavorare su più fronti con grande passione e determinazione, poi quando i risultati arrivano si contestano e si bloccano i nuovi strumenti, alla fine, come in una cattiva commedia, si risolve tutto con un paio di slogan, naturale, biologico, nonna e bei tempi andati. Insomma, trattori di una volta.