L’uomo e il pane: Posto che dall’invenzione dell’agricoltura in poi gran parte degli
esseri umani si sono cibati soprattutto di cereali, nella nostra rassegna delle paure specifiche dobbiamo per forza partire da qui. In realtà ci sarebbero stati tanti buoni motivi per partire anche dalla carne o dalle verdure, dal momento che, come sappiamo, l’uomo è stato prima di tutto cacciatore-raccoglitore e lo è rimasto per molto più tempo, ma l’agricoltura ha imposto una sorta di istituzionalizzazione delle paure alimentari, che fino a quel momento venivano affrontate con gli strumenti dell’istinto e dell’esperienza, probabilmente molto efficaci.
Il pane, perché? Essendo ricchi di carboidrati, possono e potevano già allora essere conservati per mesi e quindi tornare utili nei periodi in cui altri alimenti erano meno disponibili.75 Era però necessario riuscire a trasformare questi grani in farina e la cosa sorprendente è che le prime tracce dell’attività di macinazione dei cereali precedono di parecchio la rivoluzione agricola: nella grotta di Paglicci in Puglia sono stati trovati alcuni utensili adatti alla trasformazione del grano in farina, risalenti a più di 32.000 anni fa, quindi anticipando di circa 20.000 anni le prime domesticazioni.76 È praticamente certo che quelle prime farine di cereali spontanei venissero utilizzate per preparare pappe più o meno liquide, aprendo la strada a uno degli alimenti base per l’umanità, vale a dire quella che noi italiani chiamiamo polenta. L’altro grande cibo derivante dai cereali che caratterizza l’alimentazione umana è il pane. Anche in questo caso, abbiamo tracce che precedono di un paio di millenni la nascita dell’agricoltura: circa 14.000 anni fa, quindi. Il passaggio dalla pappa semiliquida al pane avvenne semplicemente riducendo la quantità d’acqua nella preparazione e soprattutto modificando il sistema di cottura: non più direttamente sul fuoco in un recipiente, ma in maniera indiretta, mettendo l’impasto accanto alla fonte di calore.
Una paura reale: l’ergotismo. Stabilire il livello qualitativo del grano era facile, basandosi sull’esperienza, ma per cereali minori come l’orzo o la segale, ad esempio, era tremendamente complicato ed ecco che la paura di ingerire pani fatti con farine guaste si aggiungeva a quella ovvia di rimanere senza pane e spesso tra le due paure i cittadini non sapevano quale fosse la peggiore.
Per tutto il Medioevo e per buona parte dell’Età moderna la paura di contrarre il “fuoco di Sant’Antonio” per colpa del pane fatto con farina di segale era diffusa praticamente in tutta Europa e anche in America del Nord. Qui occorre aprire una breve parentesi, perché per noi oggi il fuoco di Sant’Antonio è solo l’herpes zoster, vale a dire una malattia virale a carico della cute e delle terminazioni nervose causata dal virus della varicella infantile, mentre fino al Seicento questo nome si applicava genericamente a tutte le malattie che provocavano bruciori cutanei fino ad arrivare alle gangrene.
Oggi sappiamo che in realtà vi erano almeno due malattie ben distinte e dalle cause completamente diverse: una era l’herpes, di origine virale, appunto, e l’altra era l’ergotismo, dovuta al consumo della cosiddetta segale cornuta, cioè attaccata da un parassita chiamato Claviceps purpurea. Ma fu solo nel 1556 che il medico tedesco Loniero di Marburgo, in occasione di un’epidemia di fuoco di Sant’Antonio nella regione dell’Assia in Germania, indicò come causa il pane preparato con farina alterata. Peraltro, dal punto di vista della storia della medicina questo episodio rappresentò un fondamentale passo avanti, perché per la prima volta le cause divennero più importanti dei sintomi nel determinare la natura di una malattia e di conseguenza per stabilire le necessarie terapie.
Quello che qui interessa è proprio il percorso che ha portato alla consapevolezza sulle origini dell’ergotismo e di come in fondo la saggezza o i timori popolari abbiano sostanzialmente anticipato le scoperte della scienza medica. Il fatto è che gli abitanti delle città di mezza Europa avevano notato fin dalla comparsa dei primi casi della malattia, addirittura precedenti all’anno Mille, che il fuoco di Sant’Antonio imperversava soprattutto in campagna, mentre i cittadini, pur non essendone completamente immuni, ne soffrivano in misura decisamente inferiore. Del resto, poiché con lo stesso nome si identificavano due o forse tre malattie diverse, una delle quali di origine virale, è evidente che la presenza di una chiara differenza nell’incidenza della malattia finisse per creare più dubbi che certezze. Le cose cambiavano solo nei periodi di carestia, quando le autorità iniziavano ad ammettere la produzione di pane con cereali diversi dal grano anche da parte dei fornai di città. Ecco allora che i casi di quella terribile malattia, così invalidante e dolorosa, cominciavano ad aumentare in maniera significativa anche all’interno delle mura urbane.
Il sillogismo più semplice e per certi versi automatico fu proprio quello di identificare nei cosiddetti cereali minori come orzo, segale, farro, ecc., la causa del fuoco di Sant’Antonio, anche se questa correlazione poteva confliggere con il dato storico di quei casi rilevati in città pure quando il pane veniva fatto solo con il grano. Questi episodi non facevano altro che rafforzare la determinazione dei cittadini nel rifiutare ogni altro tipo di pane che non fosse quello bianco fatto con la farina di grano. La paura del fuoco di Sant’Antonio era più forte della paura della fame: le immagini di uomini e donne deturpati dalle gangrene o in preda a crisi nervose simili all’epilessia, così frequenti nelle campagne, erano davvero scioccanti e davano la misura del privilegio di vivere in città.
Nel frattempo, però, la medicina ufficiale, con tutti i suoi limiti che abbiamo già visto, stentava a riconoscere le cause della malattia, ma addirittura stentava a riconoscere l’ergotismo come malattia specifica. Del resto, nemmeno il collegamento diretto che veniva fatto nelle città tra fuoco di Sant’Antonio e consumo del pane di segale poteva reggere alla prova dei fatti in quanto in giro per l’Europa vi erano milioni di contadini che da secoli mangiavano solo quel tipo di pane e non conoscevano una maggiore incidenza della malattia. La ricerca delle cause andò un po’ a tentoni, dando la colpa di volta in volta all’aria insalubre, all’acqua stagnante, per finire, come sempre, all’alimentazione.
Ovviamente, prima di ammettere che la saggezza popolare degli abitanti delle città in qualche modo avesse ragione, i medici ci misero almeno otto secoli, durante i quali emersero, da un lato le differenze nella sintomatologia e nella virulenza tra herpes zoster ed ergotismo e dall’altro vennero individuate le evidenti anomalie che la segale spesso presentava, appunto quando veniva attaccata dalla Claviceps purpurea. La discussione accademica però andò parecchio per le lunghe. Infatti, se già nel 1556 Loniero di Marburgo aveva compreso il ruolo della segale cornuta nella diffusione della malattia, ancora nel 1770 in Francia c’era chi non ne era del tutto convinto e anzi si scagliava contro “l’assurdità dei timori che si hanno su questo presunto veleno”. Ma solo qualche anno dopo, anche in Francia tutti si convinsero che queste ondate di ergotismo nelle campagne fossero causate dalla diffusione del parassita della segale.
C’era però un ulteriore paradosso in questa vicenda. Quando alcuni medici cominciarono a battere le campagne francesi per convincere i contadini a cambiare colture, abbandonando precauzionalmente la segale e adottando ad esempio la patata, che fra l’altro aveva rese nettamente superiori, vi furono resistenze estremamente forti. Al pari dei cittadini, che consideravano il pane bianco un elemento identitario, per i contadini abbandonare il pane nero fatto di segale o di grano saraceno, sarebbe stato un disonore. Un comportamento irrazionale, ma che dimostra come le paure alimentari siano spesso legate a elementi identitari e culturali. È chiaro che nelle campagne il cambiamento delle colture e quindi della dieta era per forza più lento che in città ed è anche chiaro che vi fossero delle inerzie difficili da superare. Ciò non di meno, la percezione del rischio rispetto a determinati alimenti variava, anche di molto, a seconda delle caratteristiche socioeconomiche dei diversi consumatori.