Riepilogo della puntata precedente. Siamo andati a fare un giro all’Università di Ancona, accompagnati dal prof. Bruno Mezzetti che così, ricordiamo ancora per nostro vanto, è stato nominato Highly Cited Researcher da Clarivate: un riconoscimento riservato solo allo 0,1% dei ricercatori di tutto il mondo. Bene, Mezzetti ci ha parlato dei vantaggi e degli svantaggi di alcune tecniche di miglioramento, e si è concentrato su quella,tradizionale: il buon vecchio e caro incrocio. Poi siamo entrati nel cuore di alcune nuove, promettenti tecniche (la cui importanza purtroppo non riusciamo a comunicare a dovere).
Facciamo un esempio: arriviamo da un altro pianeta e atterriamo nelle vicinanze di una radura di graminacee selvatiche. Meno male, dopo il lungo viaggio avevamo finito le scorte di farina.
Notiamo che le graminacee a maturità perdono il seme, com’è logico in effetti, se la pianta non disperde il seme non si riproduce. Buon per la pianta male per noi, ci dobbiamo chinare e cercare i semi: non siamo nemmeno più abituati, dopo un lungo viaggio e poi metti il mal di schiena. Ma nelle vicinanze notiamo delle spighe che non perdono il seme.
Chiaro, sono piante mutate, ma quella mutazione letale per le piante (non perdono il semedunque non si riproducono) è utile per noi umani: non ci chiniamo più. Come fare?
Piano a) ci pensiamo noi a seminare quella pianta, così da avere per il prossimo anno una nuova produzione di piante che non perdono il seme.
Piano b) quelle piante crescono ma mannaggia c’è un problema: è vero offrono un vantaggio (sono facili da utilizzare perché non ci chiniamo) ma non sono così produttive. Allora incrociamo la pianta che non disperde il seme con le altre più produttive che invece lo disperdono, nella speranza che vengano fuori piante con entrambi i caratteri.
Non è facile, bisogna aspettare anni per selezionare i due caratteri richiesti e comunque operiamo una modifica genetica, la nuova pianta avrà il 50% del patrimonio genetico del genitore a che non perde i semi e il 50% del genitore b, scelto perché più produttivo. Probabile che saranno necessari altri incroci per diciamo così raffinare meglio quei caratteri e renderli performanti.
Il piano a) e il piano b) è stato, in effetti, praticato per millenni, più o meno inconsciamente, e se date occhiata al genoma del riso (per esempio) potete vedere quante variazioni e modifiche (naturali e spontanee), indicate con linea verticale (sul rettangolo celeste) abbiamo apportato rispetto alla pianta da cui siamo partiti.
Però siamo sapiens, un po’ ci ingegniamo sulle cose e troviamo soluzioni. Dunque, se ora atterrassimo su un altro pianeta senza scorte di farina, di sicuro, con i potenti mezzi che la scienza ci ha donati, non faremo altro che selezionare solo quel gene (o più geni) responsabile de carattere a noi utili (nel caso: pianta che non perde il seme) e lo trasferiremo su un’altra pianta (selezionata perché più produttiva o più rustica).
Un’operazione semplice, più precisa, meno invasiva (meno incroci meno modifiche genetiche a caso).
Insomma, useremo la tecnica del DNA ricombinate per produrre quello che da un punto di vista tecnico viene chiamato OGM e che spaventa molto l’opinione pubblica ma diciamo la verità, se l’opinione pubblica si trovasse a bordo di quella astronave, in quella situazione, non esiterebbe a fare: conviene, è più preciso, più efficiente e non costa molto.
E se cerchiamo le resistenze naturali ai patogeni, con lo stesso sistema di cui sopra, si possono costruire piante, come dire, corazzate contro i patogeni stessi. Immaginate di avere i gerani e le rose fuori dal vostro balcone, capace di resistere a insetti o afidi, così non spruzziamo agrofarmaci o ne limitiamo l’uso. Sarebbe bello
Non solo, siccome abbiamo studiato (nell’astronave si sono migliaia di ricercatori pubblici impegnati a capire come funziona la sintesi delle proteine), sappiamo che esistono specifici Rna (Rnai) capaci di spegnere alcuni geni, di silenziarli, dunque, quelli dell’astronave si sono decisi e stanno sperimentando formulati con questi Rnai che riescono per esempio a uccidere o rendere inefficace un patogeno perché agiscono su quei geni responsabili dell’infezione.
Sono nuovi agrofarmaci, sicuri, efficaci.
Vanno sperimentati, ovvio. In laboratorio funziona tutto, in campo meno.
Nei laboratori del professore Mezzetti da anni ormai si sperimentano varietà OGM e si fanno studi sugli Rnai. Buonissimi risultati, di cui siamo orgogliosi.Purtroppo per le note questioni legislative è vietato provare varietà OGM in campo, che peccato, abbiamo macchine più ecologiche e non le possiamo testare.
Ma di tutto questo, nello specifico, vi racconteremo nella prossima puntata.