Il modello democratico, lo sappiamo, presuppone l’esistenza di cittadini razionali e informati, motivati a fare buone scelte (ne va del proprio benessere o in casi, ambiziosi, nonché ansiogeni, della propria felicità) e messi (dalle istituzioni preposte) nella condizione di esprimere le suddette scelte.
Tuttavia, la democrazia è un sistema di governo molto giovane (tranne alcune prove tecniche ad Atene nel IV secolo, è nato l’altro ieri) e noi cittadini, dal punto di vista evolutivo, siamo troppo vecchi: portiamo il carico del passato, ovvero di un sistema decisionale (e morale) formatosi millenni orsono (prima della rivoluzione agricola).
Dunque, siamo capaci di legiferare su noi stessi (a fatica) solo in particolari semplici situazioni. Mentre, al contrario, subiamo blocchi nel processo decisionale (con vari falli e imperdonabili errori), quando siamo esposti alla complessità.
Ne derivano – e lo osserviamo ogni giorno- dei comportamenti così poco razionali che in molti si chiedono: ma che fine farà la democrazia? E noi? Diventeremo cittadini più attenti e propositivi o finiremo per incanaglirci contro il prossimo?
Per cercare risposte a questa domanda, è molto utile leggere La scienza in tribunale 2, la vendetta (edizione Fandango) di Luca Simonetti (è la seconda parte di un’indagine che l’avvocato e saggista Simonetti compie sui rapporti tra giustizia e alcune questioni sensibili).
Il libro è importante ed è un piacere leggerlo, perché Simonetti, come è suo solito, parla e scrive solo dopo che la gran massa di noi ha parlato e scritto. Quindi, intervenendo a freddo, compie due operazioni (importanti, fondamentali e non solo per un saggista): raffina la mole di informazioni che spesso con effetto temporalesco (grandinifero) abbiamo prodotto intorno a una questione, e – seconda operazione, conseguente alla prima- legge le carte.
Cioè, cerca – dopo aver raffinato- di utilizzare quel materiale che si presta (per analisi, competenza, originalità nell’approccio) a una misurazione più seria, così da ottenere un risultato più preciso, dal quale, poi, legiferare.
Il metodo è tutto. Lo è per un saggista e lo è per la nostra democrazia. Perché, a parte che sappiamo le cose per sentito dire, quindi non siamo precisi, né tantomeno specialisti sulla gran parte delle questioni che ci vengono sottoposte, ma poi, nonostante questo, ci piace parlare, produrre rumore di fondo.
Faccio per dire, di recente Antonio Cabrini ha rilasciato una dichiarazione un po’ forte, della quale, poi, un po’ si è scusato. Riguardava Maradona, che se fosse stato a Torino (alla Juventus) si sarebbe salvato. Su Twitter si è scatenato un gran dibattitto e un utente, rivolgendosi a Cabrini, ha detto: scusi ma lei chi è? Perché io da esperta di comunicazione le dico che bisogna contare fino a 10 prima di parlare. Altri utenti hanno risposto, ma scusi, chi è lei? Cabrini è Cabrini, un grande atleta e calciatore. L’utente ha risposto: non lo conosco, non mi occupo di calcio. Ma come- hanno ribattuto- lei si occupa di comunicazione e non conosce Cabrini? È un grande atleta, avrà detto una cosa sbagliata, ma almeno sa di cosa parla, invece lei doveva contare fino a 10, prima di parlare.
Purtroppo è una buona dimostrazione di come si formano le opinioni: abbiamo voglia di esprimere la nostra, anche se non conosciamo bene l’oggetto della contesa e tuttavia, non perdiamo occasione di fare la morale agli altri, quando dovremmo farla a noi stessi. Nella sostanza, questa procedura ripetuta centinaia di volte al giorno, crea inquinamento, tossicità diffusa. Per respirare cerchiamo scorciatoie, ma vogliamo respirare senza fatica. Dunque – dice Simonetti -crediamo nei miracoli, non so, diete, cure alternative, o vogliamo capri espiatori, cioè persone su cui addossare la colpa.
Bene, Simonetti è cosciente di questo andazzo, infatti conta fino a 10 prima di parlare. E allora, grazie a questo metodo, troverete ottime ricostruzioni, nonché analisi di alcuni grandi temi: il caso Ilaria Capua (esempio di capro espiatorio) alcune cure miracolose (omeopatia), diete che vanno per la maggiore (il caso Panzironi), disastri che non sono proprio disastri (la scomparsa delle api friulane) e disastri che sono proprio disastri (come la Xylella sugli olivi) che non vengono creduti tali (con gran danno per l’Olivi).
Il libro si chiama Scienza in tribunale perché esamina come i tribunali spesso si arroghino il diritto di fare a meno della scienza (producendo danni che lasciano il segno). A volte perché alcuni magistrati prendono cantonate e sono presuntuosi, vogliono dire la loro, o perché, a volte, si è in presenza di sistema normativo farraginoso e oscuro.
Eppure, scienza e giurisprudenza, in passato, sono nate nelle stesse aule e con la stessa finalità: cercare la verità (o meglio misure precise) con un metodo d’analisi condiviso e replicabile. Simonetti spera che in futuro andrà meglio e il suo libro (arricchito tra l’altro di note molte divertenti) ci mostra, intanto, come possiamo essere cittadini migliori, che poi significa, nella sostanza, contare fino a 10 prima di parlare e nel frattempo approfittarne per imparare a maneggiare utili strumenti di misura.