Il Blue Book è il report annuale sul servizio idrico italiano, curato dalla Fondazione Utilitatis, nata per volontà di Utilitalia (la federazione delle aziende operanti nei servizi pubblici dell’acqua, dell’ambiente, dell’energia e del gas) come centro studi istituzionale sui servizi pubblici e tematiche economiche giuridiche.
L’edizione 2022, uscita in questo proprio in mese, e realizzata con un contributo anche di Istat e Cassa depositi e prestiti – Cdp, mette in evidenza gli aspetti strutturali e gestionali del servizio idrico del nostro paese, non solo per fornire dati e stimoli a chi opera nella governance del settore, ma anche per ricostruire un quadro utile a indirizzare le scelte politiche verso gli obiettivi dell’economia circolare.
La tutela dell’ambiente e la gestione delle risorse idriche sono fattori ovviamente interconnessi, e lo sono con un processo causa-effetto circolare. Infatti, se la scarsità della risorsa idrica è un problema che trova la causa principale nel cambiamento climatico (tutto parte della scarsità delle piogge estive che si registra nella parte centrale e meridionale del continente europeo, con le previsioni per i prossimi decenni che mostrano che nelle regioni artiche le precipitazioni aumenterebbero fino a circa il 14%, mentre nelle regioni mediterranee diminuirebbero, in particolare nel Sud della Spagna, in Grecia -18% e nel Sud Italia -15%), è vero anche che la cattiva gestione della risorsa contribuisce a creare gravi sprechi, con conseguenti ulteriori stress per l’ambiente oltre che per la salute umana.
Ecco che gestire l’acqua che è disponibile in modo responsabile ed efficiente non è solo una risposta difensiva o riparativa agli effetti dei cambiamenti climatici, ma anche un’azione prioritaria per mantenere l’ecosistema in equilibrio.
Ma andiamo a vedere i numeri che il Blue Book 2022 mette in luce:
Iniziamo dai dati di consumo: gli italiani sono tra i meno virtuosi in Europa, con un consumo pro capite di acqua potabile che nelle città è di 236 litri, contro la media di 125 nell’ Ue. Colpa degli sprechi umani sì, ma soprattutto di una rete idrica inadeguata che avrebbe bisogno di interventi consistenti. E qui si passa al secondo dato: secondo l’Istat, nel 2020 i gestori hanno complessivamente immesso nelle reti di distribuzione dei 109 comuni capoluogo di provincia e città metropolitana (dove risiede il 30% della popolazione) 2,4 miliardi di metri cubi di acqua (370 litri per abitante al giorno) ed erogato, per usi autorizzati agli utenti finali, 1,5 miliardi di metri cubi (236 litri per abitante al giorno. E sempre secondo l’Istat, nonostante “episodi di scarsità idrica sempre più frequenti, oltre un terzo dell’acqua immessa nella rete di distribuzione, in Italia, va perso”. Sì: un terzo. Un dato lievemente inferiore a quello del 2018 (era il 37,3%) ma comunque indicativo della necessità di interventi sulle reti.
Ed eccoci arrivati il terzo dato: lo spreco è legato alle inefficienze della rete, impianti vecchi, insomma una rete che necessita urgentemente di interventi di ammodernamento. Ma non è solo questo, è anche un altro il fattore nel nostro paese incide in modo negativo sulla gestione efficiente della risorsa idrica: il nostro modello di governance frammentato, che non ha completato il suo percorso di maturazione a livello locale, che dovrebbe essere sempre più basato sulla gestione in capo a enti di governo specifici, cosiddetti “dell’ambito. In molti territori invece, soprattutto al Sud, vive ancora un sistema frammentato, dove prevalgono ancora le cosiddette “gestioni in economia”, nelle quali il servizio è svolto direttamente dall’ente locale.
Quindi impianti innovativi, governance efficienti. Queste le soluzioni alla questione idrica del nostro paese. Ma ci stiamo arrivando o no? Qual è lo stato dell’arte o, almeno la meta all’orizzonte? La risposta è una e si chiama Piano nazionale di ripresa e resilienza. Nel PNRR ci sono 4,4 miliardi per la tutela del territorio e delle risorse idriche, di cui 3,5 per le aziende del servizio idrico integrato. E sono già stati finanziati 75 progetti di manutenzione straordinaria per 2 miliardi e assegnati 300 milioni per ridurre le perdite di rete nel Sud Italia, dove si trovano anche gli undici comuni che, secondo il dossier, hanno dovuto adottare politiche di razionamento.
Chiudiamo con un passaggio nelle famiglie: l’Istat certifica che il 28,5% delle famiglie italiane dichiara di non fidarsi a bere l’acqua del rubinetto, con punte del 60% in Sicilia e del 50% in Sardegna, ma nell’insieme l’86,0% delle famiglie è molto o abbastanza soddisfatto del servizio di fornitura d’acqua potabile.