Malattie e fame. Un funzionario di basso rango che operava nel vescovato di Beauvais, Francia, maggio 1693, racconta: “Vi è un numero infinito di povere anime indebolite dalla fame e dalla miseria che muoiono per il bisogno e per la mancanza di pane, nelle strade e nelle piazze, nelle città e nelle campagne, perché non avendo lavoro e occupazione non hanno soldi per comprarsi il pane. Tentando di prolungare un po’ la loro esistenza e di placare in qualche modo la fame, la maggior parte di questa povera gente non avendo pane mangia roba immonda, come gatti e carne di cavalli scorticati, gettata su mucchi di letame, il sangue che scorre quando mucche e buoi vengono a macellati e le interiora gli scarti e quello che i cuochi gettano in strada. Altri poveri sventurati mangiano radici ed erbe che fanno bollire nell’acqua, ortica ed erbacce del genere, altri invece dissotterrano i fagioli e i semi di granturco che sono stati seminati in primavera. Tutto questo alimenta la corruzione dei corpi degli uomini e varie malattie mortali e infettive come le febbri maligne che attaccano perfino le persone ricche e ben fornite. (da Tim Blanning, L’età della Gloria, storia d’Europa dal 1648 al 1815, Laterza).
Malattie, la peste per esempio. La grande peste di Londra si portò via dalle 800mila alle 100mila persone in meno di un anno, su una popolazione cittadina di poco meno mezzo milione. Il progredire dell’epidemia può essere seguito grazie una serie di fonti dell’epoca fra le quali spicca Diario di un peccatore, di Samuel Pepys. Il 26 luglio 1665 annotò: “Il morbo è arrivato nella nostra parrocchia questa settimana e di fatto imperversa ovunque, tanto che comincio a pensare di mettere le cose in ordine e prego Dio che mi consenta di farlo sia per l’anima sia per il corpo”. Due giorni dopo Pepys partì per Dagenham (oggi borgata est di Londra n.d.r) dove trovò gente così terrorizzata dal contagio che poteva essere trasmesso ai visitatori provenienti da Londra che fu indotto a esclamare: “Vedere in che stato di paura vive tutta la gente di qui fa diventare matti”. Tornato nella capitale, il giorno seguente fu preso da un mal di testa che gli fece provare una straordinaria paura. A metà agosto poteva scrivere “muore così tanta gente che ora sembra siano costretti a trasportare i morti e seppellirli di giorno perché la notte non basta”. Ma la buona sorte e il naturale buono umore di Pepys gli consentirono di attraversare le fosche giornate della tarda-estate e dell’autunno, dopo che i tassi di mortalità cominciarono a calare. Neppure l’inquietudine gli aveva impedito di dedicarsi alle sue due passioni preferite, far soldi e stare dietro alle donne, tanto che l’ultimo giorno dell’anno poteva annotare soddisfatto: “Non ho mai vissuto così allegramente, a parte che non ho mai avuto così tanto come in questi tempi di peste”.
(Da Diario di un peccatore di Samuel Pepys, traduzione Milli Dandolo, Castelvecchi, 2015)
Conseguenze della fame e della malattia sulla demografia: non è difficile immaginare quali fossero gli effetti demografici di una simile sequenza di eventi, basta trasportare le drammatiche immagini familiari delle carestie odierne del Corno d’Africa in un contesto europeo. Ovviamente i tassi di nuzialità e di natalità crollavano, mentre la mortalità, specialmente quelle infantile, si innalzava drasticamente. Si stima che in Francia nel corso della terribile crisi demografica del 1692-94 morirono due milioni e 800mila persone, pari al 15 per cento della popolazione del paese. L’ultimo decennio si dimostrò particolarmente funesto in tutta l’Europa, e in Finlandia la carestia del 1696 -97 si portò via forse addirittura un terzo della popolazione. In Scozia il magro raccolto del 1695 venne seguito da uno ancora più scarso nel 1696, e dopo una modesta ripresa nel 1697 quello dei 1698 fu disastroso. Nelle zone più duramente colpite, come nell’ Aberdeenshire il tasso di mortalità raggiunse il 20%. A quel tempo Sir Robert Sibbald osservò: “Tutti possono vedere la morte sul volto dei poveri”. Solo l’Inghilterra e la Repubblica Olandese sfuggirono all’olocausto, forze perché i loro sistemi agrari erano più equilibrati ma più probabilmente perché le loro migliori vie d’acqua rendevano possibile una più efficace circolazione delle eccedenze e facilitavano i rifornimenti all’estero. In tutta Europa si ebbero cattivi raccolti negli anni 1660/63,1675/79 1693, 94 e 1708/9 intervallati da un numero di carestia più localizzate, ma a questo punto la situazione cominciò a migliorare. Dopo il 1709 in Francia non si registrarono carestie, anche se gli anni con raccolti molto scarsi furono assai numerosi, non da ultimo il 1788-89 e nel 1741 e 42 e nei primi anni 70.
(da Tim Blanning, L’età della Gloria, storia d’Europa dal 1648 al 1815, Laterza)
Matrimonio sì, ma con dote. La grande maggioranza delle donne europee erano figlie analfabete di contadini analfabeti. Per loro la priorità assoluta era raggranellare una somma sufficiente per attirare un marito. Già nella prima adolescenza o anche prima avevano lasciato la famiglia in cerca di un impiego. Il loro principale campo di occupazione era quello dei servizi domestici, nella Francia a Nord della Loira. Alla fine del ‘700, le ragazze di campagna che lavoravano per questo settore ammontavano al 13% della popolazione urbana. Per ogni famiglia che si faceva un po’ strada nel mondo, il primo lusso era rappresentato dall’avere alle proprie dipendenze una domestica. E’ necessario uno sforzo di immaginazione per farsi un’idea dell’ingrata fatica che la vita quotidiana comportava prima dell’introduzione dei servizi pubblici e dell’allacciamento dell’elettricità: andare a prendere l’acqua (operazione che in città significava spesso fare lunghe code), fare ogni giorno compere al mercato, pulire e preparare i caminetti e stufe, svuotare i vasi da notte, lavare e stirare gli indumenti, sollevare e sbattere i tappeti, e così via in un ciclo senza fine, spaccandosi la schiena. Se tutto fosse andato bene, dopo una decina di anni di lavoro, si sarebbe potuto riuscire ad accumulare la somma sufficiente per permettersi il ritorno al villaggio e sposarsi. Ma male sarebbe andato alla serva che fosse stata così poco accorta da rimanere incinta o così sfortunata da ammalarsi. La distinzione tra la semplice povertà e la miseria vera e propria è sottile ma cruciale.
(da Tim Blanning, L’età della Gloria, storia d’Europa dal 1648 al 1815, Laterza)