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Home L'intervista

L’enologa Chiara Barbabianca ci racconta una lunga e affascinante e intrecciata storia dei vitigni autoctoni italiani

da Redazione
19/04/2022
in L'intervista
vite

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Puoi indicarmi quali sono le potenzialità (se ci sono) del territorio viticolo italiano?

Il territorio italiano ha enormi potenzialità in campo vitivinicolo ed enologico. (considerazione piuttosto facile da fare considerando la sua storia). Ma il vero punto di svolta è capire quali sono queste potenzialità, se esse calzano con il mercato del vino attuale, in rapidissima e continua evoluzione, con il mondo in cui viviamo e con le possibilità che questa terra ci offre, anch’esse sempre in perenne cambiamento. Bisogna anche dire che non è sufficiente individuarle: le potenzialità vanno espresse e sfruttate, cosa tutt’altro che semplice o banale, soprattutto in un periodo storico caratterizzato da problematiche ambientali come quello attuale, e in campo agricolo specialmente, dove queste potenzialità cambiano a seconda delle possibilità. Purtroppo, siamo abituati a pensare solo al prodotto finale del processo produttivo ignorando tutto quello che precede e l’importanza della materia prima. Per ottenere un vino di qualità è necessario innanzitutto avere un’uva di qualità, e le tecniche e tecnologie enologiche sono importanti al pari del suolo, del clima e delle pratiche viticole.

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Abbiamo un territorio con molte viti autoctone?

Il nostro paese vanta il primato in termini di biodiversità e si caratterizza per la presenza di un grandissimo numero di cultivar autoctone, risultato di secoli di selezione naturale e umana che hanno portato all’instaurarsi di uno stretto rapporto cultivar-ambiente. Il risultato è un caleidoscopio di vini locali, con un gusto vario e originale, la cui tipicità deriva dalla somma tra cultivar, suolo, clima e stile di vinificazione. Inoltre ora in diverse aree il riscaldamento globale sta mettendo a dura prova la sostenibilità della viticoltura e il raggiungimento di alti livelli qualitativi nella produzione di vino. L’accumulo accelerato di zucchero e la perdita di acidità rappresentano nuove sfide per viticoltori ed enologi, già alle prese con un mercato in rapidissima espansione, caratterizzato dalla comparsa di nuovi stili, nuove aree di produzione e dal cambiamento del gusto del consumatore. Dunque, l’impiego di cultivar internazionali e l’enfatizzazione di specifiche pratiche enologiche, come può essere l’affinamento in barrique, hanno progressivamente globalizzato il gusto del vino appiattendo le potenzialità derivanti dalle cultivar stesse e dall’areale di produzione.  Nella situazione attuale, un punto chiave potrebbe essere quello di rivolgere l’attenzione al patrimonio varietale locale, riesaminandone il valore enologico, le potenzialità di marketing e la possibilità di contrastare gli effetti negativi dovuti al cambiamento climatico.

Se sono vitigni rari e diffusi su piccoli territori, come valorizzarli?

Il vero quesito da sottoporsi è: produrre vino a partire da varietà locali e autoctone, ad esempio il Sagrantino o il Grechetto, per citare vitigni a me cari, può rappresentare una chiave di svolta per le problematiche ambientali, e anche un mezzo per “svecchiare” un mercato del vino ormai saturo, e caratterizzato da poche varietà internazionali? Siccome i vitigni autoctoni meno conosciuti offrono vini differenziati e particolari (che esprimono al massimo il loro potenziale solo se coltivati nell’areale geografica d’origine) e sono caratterizzati da specifiche qualità organolettiche, risulta necessaria una comunicazione adeguata e moderna, che spieghi e allo stesso tempo racconti la storia e il particolare legame istauratosi tra quell’uva e quella terra, per stimolare la curiosità e rendere le persone più consapevoli di quello che stanno bevendo.

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