Prima che i citrologi (come vengono chiamati gli studiosi di agrumi) attirati dalla loro bellezza li premiassero con il nome di esperidi, si erano accorti di loro uccelli, pappagalli soprattutto, e scimmie che si occuparono di diffonderli oltre le aree originarie, seguiti nel tempo da marinai, mercanti e da naturalisti cacciatori di piante.
I citrologi ebbero, invece, il compito di spiegare la distinzione tra gli esperidi e le altre bacche polpose come gli acini d’uva, i kiwi, i kaki e così di motivare la distinzione verbale. I frutti degli agrumi accrescendosi lungo un asse centrale, nascono dall’ovario che si divide in carpelli che costituiscono, in forma di spicchi posti a raggiera e separati da membrane, la polpa.
Gli spicchi, colmi di vescicole succose, contengono i semi, anche se frequente è l’apirenia, cioè la loro assenza. La buccia si distingue tra una parte bianca e spugnosa che ha nome albedo e una esterna, il flavedo, ricca in superficie di profumate ghiandole oleifere. Galeno aveva già osservato nel ii secolo d.C. che, come è proprio dei cedri, l’albedo è edule, non acido (come la parte interna del frutto) né amaro (come l’esterna). Le ragioni di tale distinzione erano chiare all’antica scienza botanica e il normanno Ugo Falcando, ammirando i citros di Palermo, li diceva «formati da una distinta, triplice diversità poiché la buccia esterna dà la sensazione di calore per l’insieme di colore e odori; quel che è all’interno col succo acidulo suggerisce, al contrario, impressione di freddo; la parte mediana fra entrambe si mostra invece la più temperata». Da intellettuale medioevale seguiva le teorie della filosofia greca (dai presocratici ad Aristotele ed Empedocle) che aveva stabilito che i corpi sono composti da quattro elementi, acqua, aria, terra e fuoco, che derivano dalle qualità fondamentali: caldo, freddo, umido, secco. (Tratto da: Agrumi, Una storia del mondo, di Giuseppe Barbera, il Saggiatore. Per gentile concessione dell’editore).