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Home Editoriali

Torniamo alle elementari?

da Antonio Pascale
12/07/2022
in Editoriali
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Ci sentiamo avviliti? Nutriamo la sensazione che le cose sfuggano al nostro controllo? E ci credo. La cartina satellitare mostra un’Italia color rosso fuoco o rosa carico. Del resto, molti di noi, causa insonnia da caldo, hanno sguardi stralunati già di prima mattina. 

La siccità si fa sentire, alcuni fiumi non sono più i classici grandi fiumi. Il fiume della Patria, il Piave, è un rigagnolo, il Po non è da meno, soffrono l’Adige, l’Arno, il Tevere. Ghiacciai che credevamo eterni collassano. 

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Avviliti dunque, e a ragione, sembra che abbiamo superato il limite dell’area di controllo, al di la della quale c’è solo il caos e il si salvi chi può. In questo bailamme, allora, cosa possiamo fare? Come dovremmo ripensare l’agricoltura? E soprattutto, gli intellettuali (quelli che partecipano al processo di formazione delle opinioni, perché analizzano, studiano e cercano soluzioni) come possono aiutarci?

A proposito di intellettuali, almeno a leggere i giornali, la maggior parte di loro urla, proprio come gli attivisti del clima che bloccano il raccordo anulare di Roma, producendo grida apocalittiche e tante polveri sottili in più. Il problema è che quando si comincia a urlare, si rinuncia all’analisi e spesso si cade in una ulteriore condizione di stress. Un intellettuale dovrebbe, per dare un buon contribuito, oltre che raccontare come funziona il mondo e magari contribuire a smontare alcuni miti, dovrebbe, dicevamo, fornire pochi punti di orientamento, di quelli elementari. L’abc. 

Spesso, infatti, ci buttiamo in analisi raffinate e ignoriamo i fatti elementari. Parliamo tanto del mondo e non conosciamo i mattoni basici che lo costruiscono. Quasi sempre siamo vittima, intellettuali per prima, di bias, quindi ragioniamo male. 

Il sito gapminder.org si apre con un test, utile a capire quanto ne sappiamo del mondo. Per esempio, “Quanta plastica finisce negli oceani? Meno del 6%, più del 36%, più dell’60%?” Ebbene la maggior parte di noi, intellettuali compresi, darebbe la risposta sbagliata. Solo in pochi (il 14% degli intervistati) forniscono la risposta giusta, che è: meno del 6%. Quindi, non che la plastica non sia un problema, ma si affronterebbe meglio se si sapesse che meno del 6% finisce negli oceani. Perché sbagliamo dato? Perché non siamo perfetti, anche se ci vantiamo di essere molto sapiens e intellettuali raffinati. Funzioniamo così: il nostro cervello ritiene vere che le cose che più facilmente ricorda, e quelle che maggiormente ricorda sono anche quelle che ci impressionano o ci spaventano di più. Capite bene che se il nostro immaginario è occupato da immagini di oceani pieni di plastica, poi diamo la risposta sbagliata, perdendo la possibilità di impegnarci per risolvere il problema (quasi tutti i rifiuti di plastica rimangono sulla terraferma). 

Vediamo un’altra domanda: di tutta l’energia utilizzata nel mondo, quanta proviene da gas naturale, carbone e petrolio? Circa il 42%, il 62% o l’82%? In pochi rispondono l’82%.  Quindi molti di noi ritengono che i combustibili fossili non siano più le fonti energetiche dominanti. Difatti tutti i discorsi sull’energia pulita danno l’impressione che i vecchi combustibili siano già stati sostituiti. Non è così. In questo caso, c’è da impegnarsi parecchio, e a lungo. Se sono proprio gli intellettuali a non avere le idee chiare su alcuni punti cardinali del mondo, poi tutte le ipotesi vengono costruite su basi falsate.

L’agricoltura soffre dello stesso problema. L’immaginario si fonda su dati sbagliati. Manca proprio l’abc. Per questo guardiamo solo il peggio e dimentichiamo il meglio: sembra infatti che l’agricoltura è il principale motore dell’apocalisse prossima.

Con questo numero di Agrifoglio proveremo a parlare di altre forme di vita agricola, ossia progetti nuovi per produrre di più e meglio e con meno impatto in luoghi dove è difficile produrre.

Vogliamo parlare del progetto ProSmallAgriMed che promuove i piccoli agricoltori del mediterraneo attraverso la messa a punto di sistemi di consociazione tra fico d’india e colture erbacee (cereali, leguminose e ortive) insieme all’applicazione dei microrganismi benefici del suolo e l’agricoltura conservativa.

Anche in agricoltura abbiamo davvero bisogno di un po’ di frescura e di sana brezza: aiuta a tirare il fiato e a pensare al da farsi. Magari in autunno, partendo però da dati concreti, analisi costi benefici e non basandoci su urla spaventose che ci terrorizzano. E fatto ancora più grave: ci immobilizzano!

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