La bevanda regina dell’Età della Ragione fu il caffè. Che poi è ovvio, no? Il caffè rende vigili e stimola il pensiero, dunque il caffè divenne la bevanda ideale di mercanti, scienziati e filosofi.
Una generazione di persone curiose verso le nuove proposte culturali, da Londra (da metà del ‘600) a Parigi (per tutto il ’700), prese l’abitudine di riunirsi in locali particolari, differenti dalle consuete taverne dove si beveva vino: erano le caffetterie. Queste divennero presto i luoghi privilegiati delle speculazioni filosofiche e culturali.
Ecco che molte società scientifiche, giornali, nuove istituzioni furono fondate grazie alle discussioni attorno al caffè. Lo spirito del caffè ha illuminato l’età della ragione.
Certo, l’inizio del caffè fu travagliato, perché nei paesi Arabi (il caffè è originario dell’Etiopia e poi da lì è andato verso lo Yemen) per qualche tempo si è discusso se il caffè dovesse subire le stesse proibizioni dell’alcool, perché conservava gli stessi effetti inebrianti.
Una controversia molto sentita: c’è chi diceva che il caffè si beve col nome di Dio a fior di labbra e dopo averlo preso si resta svegli, mentre chi beve l’alcool offende Dio e si ubriaca. E chi, rigidissimo, sosteneva il contrario: il caffè produce un cambiamento fisico e mentale, e tanto basta per bandirlo.
Vinsero i pro-caffè (basti pensare che i sufi ne facevano incetta, restavano svegli, lucidi e levavano i loro canti a Dio, per non parlare dei balli) e da allora la corsa del caffè non si è fermata.
Quando il caffè arrivò in Europa, e alla fine del ‘600 la coltivazione fu sottratta al monopolio arabo grazie a furti di semi e di talee (gli Arabi prima rendevano sterili i semi, poi li spedivano: altro che semi ogm terminetor), allora, nel giro di un secolo, il caffè diventò, appunto, la bevanda simbolo dell’Età della Ragione.
Ora, anche questo anno sta per finire, e in genere già da Santo Stefano si ascolta la canzone di Lucio Dalla L’anno che verrà (pubblicata nel 1979, un testo dove ci si augurava di uscire dagli anni di piombo e che il nuovo Papa Giovanni Paolo II permettesse un po’ a tutti di fare l’amore come gli andava) e si elencano i buoni propositi. Noi di Agrifoglio, oltre a farvi gli auguri e ringraziarvi perché ci leggete in tanti, vorremmo per il 2024, attraverso il caffè, fare un appello alla ragione.
Che non è risolutiva, anzi, a volte l’appello alla ragione ha esiti tragici, perché non è facile, vista la nostra natura, attivare la ragione. La nostra natura è fondata su quattro pilastri che invece di fortificarci ci indeboliscono: sintomi (tendiamo ad espellere ciò che ci fa male), trade off (siamo un compromesso imperfetto, tra benefici e costi), dissonanza (il mondo si complica noi siamo troppo semplici e non riusciamo a colmare il divario) e precursori naturali (una serie di istinti che spesso regolano, a nostra insaputa, le scelte e le deliberazioni): la ragione si scontra con questi pilastri e non sempre funziona a dovere.
Però vale sempre la pena provarci, a ragionare meglio. Anche perché altra scelta non c’è: se non applichiamo un metodo per validare le nostre opinioni, testarle, metterle alla prova, costruiremo un mondo fatto di miliardi di opinioni, e cioè una incessante confabulazione con noi stessi che può produrre la solita improduttiva cacofonia.
Quindi: che sia un anno all’insegna della caffè! Una bevanda che ha già promosso e potrebbero ancora promuovere sane discussioni, pensiero e buona epistemologia.
Ovviamente, per ottenere il caffè, alimentare la lucidità, la ragione, le buone discussioni ecc., bisogna partire dalla base, dalla terra: sulla terra pianteremo i nostri piedi, anche nel 2024, sempre con l’intento di alzare ragionevolmente gli occhi al cielo.