Che ci vuole orecchio lo cantava Enzo Jannacci nel 1980, e ora possiamo aggiungere che per fare certe cose ci vuole anche ossigeno, e in abbondanza.
Certe cose, sì ma quali? Innanzitutto, quelle della vita. Tranne i batteri anerobici, tutte le forme complesse si basano sull’ossigeno, anche quelle marine, che ricavano ossigeno dall’acqua attraverso le branchie.
Ma immaginiamo una civiltà che muove i suoi primi passi, qui la domanda è: di cosa avrebbe bisogno questa civiltà per avanzare dal punto di vista tecnologico, fino al punto di essere osservabile da distanza galattiche, magari comunicando o lasciando tracce (“tecnofirme”: tracce derivanti da attività tecnologiche) che possano essere rilevate da osservatori esterni?
La risposta è: ossigeno. Per fare certe cose ci vuole “orecchio all’ossigeno”.
E di quanto ossigeno necessità una civiltà per avanzare via via di livello? La domanda è molto seria e serve anche a esplorare alcune questioni che prima o poi affronteremo e che i nostri progenitori, usando gli strumenti della teologia e della filosofia, hanno cercato di chiarire (con risultati altalenanti).
Il fisico Amedeo Balbi ha pubblicato da poco (dicembre 2023) su Nature Astronomy, assieme al suo collega Adam Frank, uno studio che cerca di rispondere proprio a questa domanda: di quanto ossigeno abbiamo bisogno? La risposta in breve è: per diventare una società tecnologica, c’è bisogno di nascere su un pianeta la cui atmosfera contiene tanto ossigeno. Non è una cosa scontata, forse nemmeno facile a trovarsi.
Lo studio, bello, interessante, di poche pagine tutte molto chiare, racconta come la vita sulla Terra (e si immagina anche su un altro pianeta) si sia sviluppata grazie alla giusta quantità di ossigeno. Se questa quantità fosse stata di qualche percentuale inferiore probabilmente la vita non avrebbe seguito il percorso tecnologico che ha fatto.
Insomma, l’ossigeno forma una specie di imbuto, una strettoia, se sei in quella strettoia puoi accedere a un livello tecnologico, altrimenti resti su un altro livello.
In questo numero di Agrifoglio raccontiamo questo interessantissimo studio di Balbi e Frank, intitolato: The oxygen bottleneck for technospheres (Nature Astronomy, dicembre 2023). Insomma, poniamo il nostro orecchio dentro il pacco dell’ossigeno per capire il suono della vita, le vibrazioni finora prodotte, anche nella speranza di saper leggere in un futuro le vibrazioni che altre civiltà (se esistono) produrranno.
Intanto, lo sappiamo, la base continua a girare/ Chi non sa stare a tempo, prego andare Perché, perché, perché… perché ci vuole orecchio per le cose della vita, e ci vuole orecchio anche per strumenti con i quali cerchiamo di capirla.