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L’olio e (è) la democrazia

da Antonio Pascale
23/03/2023
in Editoriali
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Tre anni orsono, nel bel mezzo del lockdown, avvolto dal silenzio del vespro, ho avuto una sensazione così strana che mi sono chiesto se fossi impazzito o altro. Mi è sembrato che il fruscio delle foglie dei Pioppi, quelli sotto casa, fosse in realtà una voce: cioè, i Pioppi parlavano con me.

Momenti così sono estremamente rari, anzi per me, particolarmente improbabili. 

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Per il lavoro che faccio (da 31 anni ho un ruolo ispettivo al Mipaf, e giro per i campi per stimare danni) di piante ne ho viste a migliaia, e anche da adulto sono salito in cima a faggi, querce, gelsi, ciliegi, peri e meli selvatici e castagni, un po’ per avere un punto di vista privilegiato (utile alla stima dei danni) ma più spesso per mangiare frutti (il piacere di mangiare ciliege o gelsi tra le fronde è insostituibile: una delle cose che ricorderò prima di morire).

Poi in genere una settimana sì un’altra no, mi fermo di botto sotto una pianta con un’espressione affranta: ma questa che pianta è? 

E via a studiare per tentare l’identificazione (metti poi che l’esame botanica sistematica non andò benissimo, 18/30, capite il deficit di conoscenza, a distanza di anni ancora da colmare).

 Nonostante le recenti ipotesi, quelle che sottolineano una certa intelligenza delle piante, mai e poi mai ho sentito una pianta comunicare; sì, certo, le foglie del Pioppo tremulo producono suoni interessanti, ma voglio dire, più spesso tendiamo, vittime del vecchio vizio antropocentrico, a vedere negli altri le nostre stesse emozioni, piante comprese, così, il tremolio del Pioppo, dovuto al lungo peduncolo che tiene la foglia, viene raccontato, invece, come conseguenza di un atto di superbia: pare che il Pioppo si sia rifiutato di inchinarsi di fronte i primi evangelisti e Dio avrebbe così la pianta condannandola a tremare per l’eternità.

Quando il mondo ha riaperto e ha ripreso ritmi e colori abituali, nessuna pianta mi ha più parlato, sono tornate ad essere semplici oggetti di stima agronomica, con tutte le regole dell’estimo. 

Tuttavia, ho preso quel segno come un proposito narrativo: le piante meritano un’indagine.

Siamo fortemente, biologicamente, legati alle piante, ma incredibile, pur parcheggiano le nostre macchine sotto le chiome, bruciando il legno, mangiando i frutti, pur facendo questo ed altro, non le conosciamo: peccato, nelle loro radici c’è la nostra eredità, nei tronchi una nota del tempo (atmosferico e cosmico) che dovremmo ascoltare.

Alcune emozioni, ma non solo le mie, pure le vostre (certi sogni, certe scelte, certi traumi, certi amori), e alcune delle riflessioni (come siamo arrivati fin qui e quali sono le ragioni che rendono la vita degna di essere vissuta) sono legate (simbolicamente e non) alle piante: viviamo (anche) per merito delle piante, se vivremo più a lungo possibile sarà per merito delle piante, se qualcosa vivrà dopo di noi saranno le piante: ditemi, dunque, c’è dunque un personaggio narrativo così completo? 

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