La più grande rivoluzione dopo il Big Bang è stata quell’agricola. Mi piacerebbe che Lorenzo Cherubini introducesse questo verso nella sua celebre Il più grande spettacolo dopo il Big bang: sarebbe un modo per rendere popolare il grande balzo in avanti che noi umani abbiamo compiuto: ovvero la domesticazione di alcune colture e di conseguenza l’avvio dell’agricoltura.
Il grande balzo in avanti non è popolare come argomento, non se ne parla molto, se non in sedi specifiche, molto ristrette. Eppure, le cose umane, ovvero cosa siamo, i valori in cui crediamo, la cultura che produciamo, l’organizzazione del lavoro (che spesso ci assoggetta a ritmi e modalità fastidiose), e, per finire, alcuni deprimenti problemi intestinali, lo dobbiamo all’agricoltura.
Non è una questione popolare perché non siamo abituati a esaminare la storia umana sullo sfondo dei millenni trascorsi. Al contrario, siamo affezionati alla cronaca spicciola, sia politica sia sentimentale, il qui e ora ci esalta, il dibattito sul trend attuale ci eccita, eppure il passaggio dalla caccia alla raccolta alla produzione di cibo è stata, appunto, la più grande rivoluzione, e non solo della nostra personale storia: moltissime specie, volente o nolente, ne sono state interessate.
L’agricoltura ha trasformato il modo in cui noi sapiens analizziamo e valutiamo il mondo, e, questione poco dibattuta, la nostra concezione del lavoro. Tutto questo perché, in un arco di tempo limitato (tenendo presente la nostra storia millenaria), abbiamo trovano il modo di aumentare la quantità di energia che possiamo catturare ed utilizzare per i nostri fini specifici.
A partire da poco più di 10 mila anni fa, una serie di popolazioni, prive di rapporti reciproci, in almeno undici luoghi diversi del mondo, situati tra Asia, Africa, Oceania e Americhe, cominciarono a coltivare le piante e allevare gli animali.
Perché è accaduto non si sa, la più grande rivoluzione dopo il Big bang rimane un mistero. Forse si è trattato di una incredibile coincidenza, e spinti da fattori climatici, ambientali, culturali demografici ed evolutivi ci siamo messi a fare gli agricoltori.
Il fatto è che la più grande rivoluzione è stata probabilmente inconsapevole, nessuna delle persone che l’ha prodotta ha pensato per un solo istante di star scrivendo la storia, anche perché, sempre tenendo in considerazione la durata millenaria della nostra storia, l’adozione dell’agricoltura è stata graduale, passo dopo passo, evento dopo evento, alcune piante si sono legate per sempre a noi e noi indissolubilmente a loro: se un diamante è per sempre, come recitava una nota pubblicità nel 1993, ancora di più è una spiga di grano.
Questo legame con alcune colture ha modificano lo scopo della nostra vita, dunque, in termini più filosofici, i nostri e gli altrui destini.
Oggi, prima che finiscano le ferie e ci toccherà tornare al lavoro usuale, raccontiamo come l’agricoltura ha cambiato il nostro lavoro, e con esso il nostro modo di stare al mondo.
Difficile che si possa tornare a prima dell’agricoltura, interessante però è capire cosa è stato di noi dopo la transizione agricola, anche perché questa riflessione può aiutarci a definire il lavoro che svolgiamo ogni giorno, se vale o non vale, se dignitoso o no: hai visto mai che un giorno riusciremo a produrre un’altra grande rivoluzione, la libertà dal lavoro.