Dallo scorso numero ospitiamo su Agrifoglio una nuova rubrica, Bestiario sentimentale, dieci/quindici righe per descrivere il proprio rapporto con gli animali (un episodio, un ricordo, e a proposito, se volete inviare il vostro Bestiario, scrivete a atpascaleyahoo.it o valeriacecilia1@gmail.com)
La sensibilità verso gli animali è aumentata ma siamo ancora figli della Genesi: “Poi Dio disse: ‘Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza. Abbia autorità sui pesci dei mari, sulle creature alate dei cieli, sugli animali domestici, su tutta la terra e su ogni animale strisciante che si muove sulla terra’”.
Non è solo il Dio della Bibbia ad assegnarci questo ruolo, moltissime narrazioni che trattano le origini ci garantiscono il permesso di cacciare e pescare, insomma uccidere gli animali. Contestualizzando, possiamo capire questo potere che ci siamo attribuiti: visti i pericoli e la necessità di alimentarsi, per i nostri antenati, quando il mondo era giovane e forte, raggiungere un certo grado di dominio sulla natura era visto come un dono.
In una docu-serie inglese dal titolo Selvaggio a chi? 5 abitanti di Tanna, isola dell’arcipelago del pacifico di Vanuatu, con pochissimi contatti con il mondo esterno, venivano spediti in Inghilterra per conoscere gli usi e costumi di noi cosiddetti civilizzati occidentali. Un proficuo cambio di punto di vista: invece di mandare i nostri antropologhi a studiare le popolazioni preletterate, erano loro a venire da noi e cercare di capire cosa avevamo in testa.
I 5 protagonisti di Tanna si annoiavano molto, non capivano alcune usanze (pub, porridge,) ed erano davvero increduli quando hanno visitato un ospizio: ma come – dicevano- gli anziani abbandonati dai figli e dalla comunità? Da noi sono riveriti, sono la memoria storica, la nostra fonte di storie e di esperienze. Dal turbamento che provavano quando gli inglesi spiegavano la necessità dell’ospizio, i nostri 5 protagonisti sembrava che ci dicessero con gli occhi: siete davvero degli incivili.
Però, come si sono divertiti invece quando, ospiti di una dimora aristocratica, hanno partecipato alla caccia alla volpe, scalzi, mezzi nudi, con archi e frecce, superando spesso gli uomini a cavallo sembravano rinati. Osservando la loro soddisfazione, il modo in cui raccontavano la battuta di caccia non si poteva inferire che quelle persone fossero incivili: si erano attribuiti un certo grado di dominio sulla natura.
Sono solo esempi, e sono documentari divertenti, ma è chiaro che ai tempi, e ancora oggi in alcune condizioni, la caccia è un dono, una necessità e i racconti sulla caccia hanno poi avuto varie declinazioni, in effetti agli arbori della nostra storia abbiamo scritto solo di guerre e di dominio su terre altrui.
Oggi la caccia, la raccolta e l’agricoltura sono diventate operazioni industriali. Pratiche un tempo così cruciali per il nostro modo di vivere sulla Terra, ora – e per fortuna- non ci definiscono più collettivamente. Abbiamo sviluppato una narrativa egualitaria: siamo uguali noi e gli animali. Da una parte è un gran bene, perché si è sviluppata una buona sensibilità. Se oggi fai male ad un animale domestico ne parla tutto il mondo.
Tuttavia, il problema principale della narrativa egualitaria è che immagina un mondo in cui non esiste conflitto di interessi tra umani e non umani. Dunque, la narrativa egualitaria, incentrata sull’idea che siamo connessi a tutte le creature viventi, non riconosce la necessità di indispensabili compromessi. Crea l’aspettativa che un giorno potremo vivere in perfetta uguaglianza con le altre specie ed evitare di subordinare gli interessi degli animali a quelli umani.
In questo numero cercheremo di portare alla luce il conflitto.