Sono le 15, avete preso il caffè? Bene, anche io. E volete sapere una cosa? Sì? Però ce la facciamo dire da Bruce Ames, uno dei padri della tossicologia moderna. Nel caffè sono state individuate circa un migliaio di sostanze chimiche differenti. Di queste, al 1994, solo 22 erano state testate su cavie per la cancerogenesi e ben 17 sono risultate cancerogene. In una sola tazza di caffè, ricorda sempre Ames, ci sono almeno dieci milligrammi di molecole cancerogene naturali. Per quanto mi riguarda, sono già alla quarta tazzina. Non lo prendiamo più, così ci togliamo il pensiero? No no aspettate.
Al caffè vanno aggiunte altre leccornie. Sempre Ames ci fa notare che nei seguenti alimenti sono presenti molecole che risultano cancerogene per i roditori: anice, mela, albicocca, banana, basilico, broccoli, cavolini di Bruxelles, cavoli, melone, carvi, carote, cavolfiori, sedano, ciliegie, cannella, chiodi di garofano, cacao, caffè, cavolo, erba aromatica, ribes, aneto, melanzana, indivia, finocchio, succo di pompelmo, uva, guava, miele, melone, rafano, cavoli, lenticchie, lattuga, mango, funghi, senape, noce moscata, succo d’arancia, prezzemolo, pastinaca, pesca, pera, piselli, pepe nero, ananas, prugna, patate, ravanelli, lamponi, rosmarino, semi di sesamo, dragoncello, tè, pomodoro e rapa.
Spaventati? Che facciamo, ci mangiamo le pietre? Proviamo con la fotosintesi? Dai, invece, soprattutto in casi del genere, è necessario tenere a bada l’emotività e ragionare su cosa significano davvero quei milligrammi di molecole. Giusto per avere uno standard, prendiamo una cosa certa, perché misurabile: i livelli di presenza di queste sostanze cancerogene naturali in quei cibi sono migliaia di volte superiori ai residui pesticidi sintetici che si possono trovare negli stessi cibi.
Già questo dovrebbe farci stare tranquilli. Mangiamo cibo che già naturalmente contiene delle sostanze cancerogene (o meglio sostanze che, testate a dosi altissime nei laboratori e sui roditori, mostrano il suddetto effetto cancerogeno), se quindi mangiamo in maniera equilibrata e bilanciata, quelle dosi rimangono minuscole: non ci intossicano né causano alcun problema.
E, continuando il nostro ragionamento, se un mela contiene milligrammi di sostanze potenzialmente cancerogene, ma la mangiamo, come dice il vecchio adagio, proprio per toglierci il medico di torno, allora non ci sono problemi con i residui dei pesticidi, migliaia di volte inferiori alle sostanze naturali.
Questo avviene sia grazie alle attuali stringenti normative sia per merito della ricerca sia per la diffusione di tecniche agricole che ottimizzano l’uso degli agrofarmaci.
Tuttavia, su questo tema l’informazione spinge verso il sensazionalismo, e “il veleno nel piatto” è un tipico esempio di servizio scandalistico (con tanto di foto inquietante). Ma per dirla con Ames: se si fa attenzione a migliaia di rischi ipotetici, si distoglie l’attenzione dai principali rischi da cui invece ci si dovrebbe proteggere.
La questione va esaminata bene, l’obiettivo non è solo contare i residui degli agrofarmaci nel piatto o nell’elenco di leccornie di cui sopra, ma capire cosa significano davvero quei milligrammi.
Alla fine, quel che resta dei residui è un residuo così residuo che non si può contare tra i residui. Ma vediamo, partiamo (sempre) dai numeri.