Chi di noi non ha ricordi in tal senso? Quando eravamo figli, o genitori o single. Frutta e verdura sono state la variabile indipendente delle nostre vite. Io che ho 55 anni ho fatto a braccio di ferro con mio nonno. Che prima mi batteva, poi dopo aver mangiato gli spinaci (ovvio, c’entra braccio di ferro), lo battevo io, e con incredibile facilità. Che felicità.
E che turbamento quando poi ho scoperto, non che mio nonno barasse e mi faceva vincere, ma che negli spinaci non c’era tutto quel ferro. Poi c’erano i cavoli che dovevi mangiare, pure i carciofi e peperoni, piselli, fagioli, Brassicaceae di ogni ordine e grado, altrimenti dovevi fare le siringhe. Per non parlare della frutta.
Mio padre me ne ha sbucciate in quantità industriale, di mele. Pure adesso lo fa, mentre io mi dispero perché i miei figli solo banane, perché un attimo e le sbucci.
Frutta e verdura rientrano in tutti i programmi dimagranti e protocolli medici alimentari. Questo, poi, è l’anno internazionale della frutta e verdura, celebrazioni indette dalle Nazioni Unite: per sottolineare l’importanza nutrizionale e l’apporto benefico sulla salute, quella che insomma si chiama alimentazione diversificata, sana e bilanciata. E tuttavia, nello stesso tempo, frutta e verdura sono deperibili e spesso soggette a spreco.
Comunque, se festeggiamo l’ortofrutta, allora celebriamo anche la speciale orografia del nostro paese, insomma cantiamo le lodi all’Italia. Paese lungo e non così largo, polpa e ossa, diceva Manlio Rossi Doria, tuttavia con microclimi differenti, geologie varie e vocazioni territoriali tali che in ogni regione può coltivare molti tipi di frutta e verdura. Possiamo, seduta stante, stilare una carta geografica, coloratissima, dove ad ogni regione corrisponde una produzione.
Le mele? Meglio in montagna, più saporite nell’arco alpino, perché l’alternanza tra caldo e freddo, tra giorno e notte, spinge la pianta a produrre sostanze protettive e aromatiche e profumate.
L’uva da tavola? Meglio al sud, in Puglia (il terreno calcareo rende la buccia più croccante) o in Sicilia, lì, viene più dolce, tanto sole e pioggia non abbondante.
Le Pere? In gran parte romagnole.
La frutta tropicale? Non manca, sempre in Sicilia.
E i pomodori? Dipende, quelli da consumo fresco soprattutto in Sicilia, sotto serra raggiugono facilmente la temperatura ottimale, anche di inverno e poi i terreni salmastri sono l’ideale.
Quelli da conserva? Anche in pianura padana, in pieno campo, d’estate.
Le fragole e le patate? Dappertutto, grazie alla geografia e ai microclimi, si può cominciare a raccogliere al sud e finire al nord, allungando la stagionalità.
Le carote? Meno male che abbiamo terreni sabbiosi, per esempi un ex lago, ora coltivato, come il Fucino, oppure verso la foce di grandi fiumi dalle parti di Ravenna o Fiumicino.
Alla fine se sorvolate il nostro paese, oltre a cento campanili, ai dialetti ancora vivi, potere notare molti colori e tante sfumature, sono quelle che l’ortofrutta prende dalla terra e rimanda al cielo: in questo caleidoscopio ci siamo tutti, bambini di ieri e di oggi, genitori e nonni passati e quelli futuri, single felici, famiglie arcobaleno, tutti noi ci specchiamo in questa orografia e la frutta e verdura sono in fondo volti che ci somigliano: mangiamole e facciamo attenzione alla deperibilità.