Un giorno, durante una missione ministeriale in Calabria, non ricordo bene dove fossi, di sicuro in una zona collinare, c’era tanta liquirizia ai bordi dei campi, in quantità industriale. Poi, ricordo che stimando i danni alle strutture causati dalle alluvioni finii tra gli alberi di fico.
Non era una coltivazione vera e propria. Tranne poche aziende specializzate e alcune varietà pregiate, la coltura del fico in Italia fa fatica a emergere, anzi spesso è dimenticata, messa ai margini, e tuttavia capitai proprio in mezzo a degli alberi di fico: in parte delimitavano il confine tra due campi, in parte erano sopravvissuti qua e là e si impossessavano dello spazio. Ah, erano carichi di siconi: un’abbondanza regale, paradisiaca.
Il collega che mi accompagnava, di fronte a tale visione, si intristì, calò la testa e disse: – Che peccato, non c’è nessuno che li raccoglie, fra poco marciranno tutti. Ma come? – chiesi. Qui – mi rispose- i giovani preferiscono perdere tempo, quando invece raccogliere i fichi potrebbe diventare un’attività. Niente, tutto sto ben di Dio si perde.
Colsi alcuni siconi, in effetti gli zuccheri erano al limite, tra il profumo e il cattivo odore, e mi ritrovai con questi fichi in mano: pensai al fico e a tutto quello che rappresenta.
Perché il fico è una pianta piena di simboli: conoscenza, desiderio, sesso, illuminazione e peccato, la fica e lo scroto, il fallo rituale e l’abbondanza. Il fico, insomma, rappresenta le forze elementari che ci muovono.
È un albero contraddittorio, secolare, ma il suo legno è fragile, non sopporta il freddo e invece sopporta bene la siccità. Ha un apparato radicale potente, le radici sanno dove trovare l’acqua, sono molto invasive: se lo pianti in giardino, un attimo e ti ritrovi le radici nello scantinato.
È una delle poche piante da frutta che resiste senza problemi ai venti salini, in tutte le fasi vegetative.
E, a parte questo, o meglio, per via di queste caratteristiche, il fico ha la capacità di rendere poetici i luoghi abbandonati, che l’uomo ha denudato perché magari ha buttato ora questo ora quello, disordinando tutto.
Se c’è uno spazio vuoto, allora il fico riesce a trarre il meglio da questo vuoto: insomma, è proprio un peccato mortale non occuparsi del fico.
Non sprecare il cibo, significa anche occuparsi degli alberi, significa non far marcire i prodotti sulla pianta, conservarli intatti lungo la filiera, rendere le piante più produttive anche quando si trovano in luoghi non ideali.