Quello che segue è un nostro riassunto dello studio pubblicato su Nature Astronomy da Amedeo Balbi, professore associato all’Università di Roma Tor Vergata, scrittore e divulgatore scientifico e Adam Frank, professore di fisica e astronomia all’Università di Rochester, negli Usa.
La fisiologia dell’ossigeno: La storia dell’ossigeno nell’atmosfera terrestre è complicata. In generale, l’O2 viene rilasciato principalmente dalla fotosintesi, ma poiché il carbonio organico viene rapidamente ossidato (dalla respirazione aerobica o dal decadimento degli organismi morti), la fonte netta di O2 libero dipende fortemente dalla velocità di seppellimento del carbonio che viene catturato dalla crosta terrestre mediante un processo geologico, la subduzione. Altri processi possono impoverire l’atmosfera di O2, come le reazioni con minerali ridotti o gas vulcanici. Tuttavia, si ritiene generalmente che un aumento sostanziale dell’ossigeno atmosferico e la sua permanenza nel corso dei tempi geologici richieda come precondizione necessaria l’evoluzione di organismi fotosintetici.
Non c’è più l’ossigeno di una volta: Esistono prove evidenti di due eventi cruciali (anche se i motivi dell’aumento della concentrazione di O2 nell’atmosfera terrestre siano ancora dibattuti). Il primo, chiamato Grande Evento di Ossidazione, si è verificato circa 2,4-2,2 miliardi di anni fa e ha provocato un rapido aumento della concentrazione volumetrica di O2 da meno di 1 parte per milione allo 0,06-2%. L’evento è chiamato anche la catastrofe dell’ossigeno, perché ha causato l’estinzione di massa delle primitive forme di vita anaerobica della Terra, proprio causata dall’accumulo di ossigeno nell’atmosfera terrestre. Il secondo è avvenuto intorno a 750–520 milioni di anni fa, quando la concentrazione di O2 è aumentata nuovamente ben al di sopra del 3%, fino a raggiungere il valore attuale del 21% in volume. Oltre a queste variazioni degne di nota, i livelli di O2 hanno fluttuato considerevolmente durante gli ultimi 550 milioni di anni.
L’ossigeno ha fatto respirare forme di vita complesse: l’ossigeno, è stato determinante per apportare l’energia indispensabile all’evoluzione degli organismi multicellulari sul nostro pianeta. La chimica ci dice che questo meccanismo sarebbe il più efficiente anche su altri pianeti, perché nella tavola periodica non esistono elementi altrettanto vantaggiosi dell’ossigeno, in termini energetici, nelle reazioni di interesse biologico. Inoltre, l’aumento della concentrazione di ossigeno nell’atmosfera si è accompagnato allo sviluppo di organismi sempre più grandi. Di fatto, la vita animale così come la conosciamo non sarebbe possibile senza alti livelli di ossigeno atmosferico.
La vita complessa è una questione di percentuali: Certo, si possono avere singole cellule anche a concentrazioni inferiori all’1 per cento, ma per avere un sistema circolatorio vascolarizzato bisogna salire al di sopra del 2 per cento. Se poi parliamo di mammiferi, anche i più piccoli esistenti (grandi pochi centimetri), i livelli minimi di ossigeno devono essere almeno del 12 per cento circa».
A questo punto qual è il ruolo dell’ossigeno nello sviluppo della tecnologia su scala planetaria? L’uso di strumenti tecnologici, inoltre, richiede non solo cervelli sufficientemente grandi ma anche una certa taglia fisica: entrambe le cose necessitano di alte concentrazioni di ossigeno».
Cosa s’intende per oxygen bottleneck, ovvero collo di bottiglia dell’ossigeno: La capacità tecnologica non è legata semplicemente alla taglia degli organismi. In teoria, potremmo immaginare specie viventi in grado di utilizzare strumenti e di iniziare l’ascesa verso tecnologie via via più sofisticate. Ma c’è una “strettoia” da superare, un “collo di bottiglia” che, di nuovo, ha a che fare semplicemente con la chimica, e in particolare con la combustione. È impossibile accendere e mantenere una fiamma se non c’è sufficiente ossigeno nell’atmosfera. Ed è difficile che una specie intelligente possa fare grandi progressi tecnologici senza poter utilizzare il fuoco, almeno inizialmente, come fonte di energia facilmente accessibile. Sulla Terra, la concentrazione minima di ossigeno per poter sostenere le reazioni di combustione è attorno al 18 per cento. Noi oggi viviamo in un’atmosfera che ha circa il 21 per cento di ossigeno molecolare, quindi siamo di poco al di sopra di questa soglia. La storia dell’umanità senza la conquista e il controllo del fuoco sarebbe un’altra storia: nulla di quello che abbiamo ottenuto come civiltà sarebbe possibile.
Ossigeno per la vita e ossigeno per la tecnologia, due percentuali diverse: I livelli minimi di ossigeno necessari per avere vita complessa sono più bassi di quelli necessari alla combustione. Questo significa che esiste un intervallo di valori entro cui è possibile l’esistenza di specie viventi anche molto sofisticate, ma che non avrebbero accesso al fuoco. In effetti, la ricostruzione dell’evoluzione della concentrazione di ossigeno sulla Terra mostra che ci sono stati periodi anche recenti, successivi alla comparsa della vita complessa e degli animali, in cui i livelli erano più bassi della soglia di combustione, e non sarebbe stato possibile usare il fuoco».
Il nostro pianeta può essere di esempio: Se usiamo il nostro pianeta come tipico esemplare di mondo abitabile, possiamo concludere che anche su altri pianeti bisognerebbe superare livelli simili a quelli terrestri per fare sì che un’eventuale specie intelligente possa usare il fuoco come fonte di energia e come mezzo per plasmare il proprio ambiente e la propria civiltà. Se non si supera la strettoia dell’ossigeno, la vita, anche intelligente, non può iniziare a salire i gradini dello sviluppo tecnologico».
Quindi da queste premesse vengono fuori alcune implicazioni: Le implicazioni sono molte, noi ne sottolineiamo soprattutto due. Intanto, la presenza di alti livelli di ossigeno nell’atmosfera di altri pianeti dovrebbe essere ritenuta un’informazione di contesto per giudicare la plausibilità dell’eventuale rivelazione di tecnofirme. In sostanza, dovremmo essere molto scettici se un’osservazione dovesse suggerire la presenza di tecnologia su un pianeta che non abbia ossigeno sufficiente a garantire la combustione. La seconda implicazione è che questa “strettoia dell’ossigeno” potrebbe rappresentare una sorta di filtro, un fattore in grado di impedire lo sviluppo di specie tecnologiche su altri pianeti».
Come questo studio aiuta a comprendere a comprendere meglio la presenza di vita su altri pianeti: L’ascesa della concentrazione di ossigeno in un pianeta simile alla Terra dipende da tanti fattori, sia biologici (pensiamo al ruolo della fotosintesi ossigenica) sia geologici. Non c’è un modello in grado di prevedere in modo completamente affidabile questa evoluzione, ma lavorare su questo problema potrebbe servire a chiarire se la presenza di alte concentrazioni di ossigeno sia qualcosa di comune su altri pianeti, o se sia invece un evento molto raro. In questo secondo caso, il nostro lavoro suggerirebbe che il fattore dell’equazione di Drake (indica la frazione di mondi in cui si sviluppa la vita tecnologica) potrebbe essere davvero molto piccolo».
Come rispondere alla domanda di Fermi: dove sono tutti quanti? Se la strettoia dell’ossigeno fosse difficile da superare, scoprire il fuoco sarebbe una fortuna che capita a pochi. In questo caso, la risposta al paradosso di Fermi sarebbe ovvia: forse ci sono altre specie intelligenti su altri pianeti, ma senza poter accendere la prima fiamma non vanno molto lontane, in termini tecnologici: se non si accendono i falò non si vede (col telescopio) la luna.
Riassunto tratto dallo studio pubblicato su Nature Astronomy da Amedeo Balbi, professore associato all’Università di Roma Tor Vergata, scrittore e divulgatore scientifico e Adam Frank, professore di fisica e astronomia all’Università di Rochester, negli Usa.
Fonti: