Erano appena passate le quattro di mattina quando ci ritrovammo tutti a bordo piscina, una ventina di ragazzi e ragazze adolescenti in una di quelle notti lunghissime dove non sai mai cosa fare e ti sposti da un posto ad un altro senza una meta precisa, dove fai mille programmi e non ne inizi neanche uno, dove non ti importa di niente se non di stare lì, con gli altri, al centro del tuo mondo. Luca aprì la finestra del ristorante facendola scorrere verso destra. Io, Aldo e Carmine sgattaiolammo dentro agilmente insieme a due asciugamani necessari per raccogliere il malloppo. I rumori provenienti dalla sala cucina ci tenevano in allarme, il battito del cuore ti faceva vibrare anche le ossa. Tutto doveva essere veloce, mentre Aldo piantonava la cucina, io e Carmine riempimmo gli asciugamani di cornetti caldi appena sfornati, che per prenderli ti scottavano le dita. “Ne abbiamo presi abbastanza” – “Aspetta, prendo le vaschette di cioccolata” – “Almeno un coltello” e poi via di corsa attraverso la sala buia verso la finestra stando attenti a non far cadere nulla. Gli altri ci aspettavano fuori e poi ancora tutti a correre verso la spiaggia. Una spiaggia deserta, rischiarata solo dalla luce della luna, con noi in riva al mare ad ascoltare il rumore delle onde e ad aspettare l’alba mentre ci godevamo quei cornetti appena fatti e ridevamo di niente. Oggi non ricordo più molto di quelle serate, non ricordo esattamente quanti anni avessi quell’estate, non riesco a richiamare alla mente i volti dei miei amici ormai finiti chissà dove, né ricordo il nome della biondina che mi guardava sempre, ma la cosa che ricordo benissimo è il sapore morbido di quei cornetti. Se ci penso lo ricordo talmente bene che è come se riuscissi ad assaporarli ancora. Quel sapore oggi è la mia àncora, alla quale mi aggancio durante le giornate più dure. È un sapore pieno di incoscienza, pieno di speranza e pieno di illusione. L’illusione che quei giorni non finissero mai e che quell’estate potesse durare per sempre.