Desiderare non significa solo desiderare, significa resistere. Ogni desiderio, anche se lo sentiamo forte e chiaro, deve poi sostenere delle prove. Dopo aver realizzato quello che desideravamo, dopo esser andati nel posto che volevamo raggiungere, capiamo che quello è solo l’inizio, e possiamo scoprire anche che quel desiderio non è più così forte, chiaro e univoco. Arrivano i richiami, i dubbi, arrivano altri desideri, insomma: c’è il prezzo da pagare, e dobbiamo vedercela da soli, con il tempo e la nostra capacità di resistere.
Sophie Mackintosh (Galles, 1988) nel suo romanzo Biglietto Blu pubblicato da Einaudi (Super Coralli) mette in scena il desiderio di maternità in un contesto distopico, dove a governare è un sistema che alle donne impone un doppio destino, attraverso una specie di lotteria: quelle che da piccole (il giorno della prima mestruazione) ricevono il biglietto bianco devono diventare madri, quelle che ricevono il biglietto blu non potranno mai diventarlo.
La protagonista del libro, Calla, ha ricevuto un biglietto blu.

Cosa fa Calla? Come vive una biglietto blu? Calla vive una vita all’insegna della libertà. Ha una casa tutta sua, un lavoro, molti amici, degli amanti, la sera esce, fa tardi nei locali, beve molti alcolici, poi la mattina, prima di andare in ufficio, va a correre per tenersi in forma. Calla è bella, è desiderata e desiderante. Le biglietto bianco camminano lente per le strade con i loro passeggini, i capelli raccolti, gli abiti candidi, Calla le guarda dalla strada dietro le finestre delle loro case, mentre cucinano con i bebè in braccio e i mariti intorno che le amano.
E’ vero, Calla non ha scelto il suo destino, se diventare madre o no, ma non le dispiace la sua vita libera (“essere sola e non avere obblighi nei confronti di nessuno, e riconoscere la magnificenza di quella condizione”) e non le dispiace neanche di essersi risparmiata il duro compito di scegliere cosa fare nella vita. Ma Calla è irrequieta, “che c’è di male a esplorare territori sconosciuti?”….“giorni senza fine contrassegnati solo dalle mie scelte”, e ancora “a volte la mia vita mi sembrava un esperimento fallito”. A un certo punto inizia a desiderare una stabilità sentimentale e anche un figlio. Così si ribella al sistema e riesce a rimanere incinta (“stavo eseguendo una riparazione su me stessa”). Il sistema la scopre, i guardiani le danno la caccia, è considerata una criminale, e si mette in fuga.
Il suo viaggio si rivelerà spaventoso, metterà a rischio la sua sopravvivenza fisica e mentale.
Quella che incarna Calla è solo apparentemente la lotta tra desiderio e destino, e solo apparentemente è una storia che ha la dorsale nel desiderio di maternità. Nel libro il desiderio di maternità è presente quando il suo contrario, infatti se Calla a un certo punto confessa “mi domandai se la maternità mi attirasse così tanto perché era una forma di masochismo a cui non potevi sottrarti”, anche le biglietto bianco confessano “da tutta la vita mi dicono che posso essere completa solo se lascio crescere qualcosa dentro di me e lo metto al mondo, mentre voi siete integre e perfette così come siete”.
Quella che vive Calla è la sua tensione interna primordiale, un corpo a corpo con se stessa per sopravvivere alle forze endogene. Perché Calla è una donna che desidera ma poi si contraddice, rischia la vita pur di avere un figlio, rimane incinta ma poi fuma, beve e chiede scusa al bambino; ottiene quello che vuole poi cade e si pente “..che cosa hai fatto? Chiesi a me stessa..”. Perché il desiderio umanissimo di Calla non è univoco, non è sacro, è pieno di buchi “il desiderio è una magia potente, prova a desiderare altro e vedrai come i tuoi desideri si ricalibreranno in fretta..”.
A ben leggere, anche il “sistema” non fa altro che risuonare le voci interne di Calla: i dialoghi (bellissimi, essenziali, perfettamente credibili) tra lei e il medico (una specie di psicologo e chirurgo insieme, con il quale le erano imposte sedute settimanali) mettono in scena il suo corpo a corpo: “tu credi che sia una cosa adatta a te, ma ti assicuro che non è così”..“eri contenta del blu, io so che per parecchio tempo sei stata felice. Ma non sei riuscita ad accettarlo”.
Quindi cosa desidera Calla e cosa dà al suo desiderio la capacità di resistere?
Calla non è semplicemente una biglietto blu che vuole diventare una biglietto bianco. Calla rivendica qualcosa di più grande, rivendica il diritto a essere come è, con tutte le sue parti, tutto il suo corpo, il “diritto di essere una donna difficile”, per usare le parole di Helen Lewis, giornalista britannica, autrice del libro Donne Difficili, storia del femminismo in 11 battaglie (portato in Italia da Blackie Edizioni) contro il sistema che vuole concedere solo opzioni ordinate e rassicuranti. E Calla lo fa con piena consapevolezza, lontana dalla ingenua ricerca di una felicità assoluta “..avevo scelto di accettare il fardello. Avevo scelto la libertà, anche se a qualcuno poteva sembrare il contrario”…“vidi anche un viaggio in cui ce l’avrei fatta, in cui sarei stata ancora una volta la ragazza con le ginocchia sbucciate, priva di scrupoli, una creature delle tenebre. In cui mi sarei scavata una galleria nella terra e avrei nuotato e rubato e percorso a qualunque costo la mia via verso la libertà”.