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Home Lezioni Private

Le turbolenze del mercato alimentare spiegate bene.

da Antonio Pascale
16/01/2023
in Lezioni Private
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Alfonso Pascale, storico dell’agricoltura ci racconta il conflitto Ucraina/Russia e le sue ripercussioni sulla UE. Un’intervista estesa, dove si intrecciano temi politici e agricoli.

Puoi farmi schema semplificato di quello che sta succedendo in campo agricolo con guerra in Ucraina?

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L’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia ha fortemente destabilizzato i mercati internazionali dei cereali. Infatti, il blocco dei porti del Mar Nero, occupati dai russi, aveva interrotto l’export del grano ucraino. 

Conseguenza?

Di conseguenza, era divampata una crisi alimentare di dimensioni globali, che colpiva soprattutto i paesi maghrebini. Così i prezzi delle materie prime agricole, in quasi tutti i settori, erano saliti alle stelle. A peggiorare la situazione concorreva anche la crisi energetica, provocata dal blocco del gas russo deciso da Putin per ricattare i governi dell’Ue. 

Poi c’è stato un accordo, no?

Sì. lo scorso 22 luglio, si è raggiunto l’accordo sul grano, sotto l’egida dell’Onu. Un accordo presto sospeso dalla Russia in modo unilaterale. Una decisione che ha fatto di nuovo precipitare il mondo nel panico. In autunno, l’intervento di Erdogan ha indotto Putin a rendere di nuovo operativo l’accordo. E così, in questi ultimi due mesi, la situazione è cambiata: i segnali dei prezzi alla produzione dei beni alimentari indicano che l’inflazione sta calando. Le cose vanno meglio anche nell’ambito del commercio internazionale. Si registra, infatti, una progressiva eliminazione dei divieti alle esportazioni. E gli scambi di beni alimentari sono in netta ripresa. Sembra, dunque, che il peggio sia ormai alle nostre spalle. 

Previsioni?

L’Australia, il terzo esportatore di grano al mondo dopo la Russia e gli USA, raccoglierà nell’annata agraria 2022-2023 il suo secondo raccolto record consecutivo. E buoni risultati produttivi prevedono anche Canada e Brasile. Non dovremmo avere prossimamente problemi irrisolvibili sul versante della sicurezza alimentare. 

Ok, ma…

Ma è necessario non allentare lo stato di allerta. E occorre cominciare a predisporre misure e regole che non ci facciano trovare di nuovo nella stessa situazione. Le ripercussioni della guerra sull’agricoltura italiana hanno riguardato per lo più la gestione dei consumi energetici. La produttività agricola ha, infatti, fortemente risentito dell’aumento dei costi di produzione e della riduzione del potere di acquisto dei consumatori. 

Tornando alle materie prime che insegnamento possiamo finora trarne?

Le turbolenze dei mercati internazionali delle materie prime agricole hanno fatto anche emergere un nervo scoperto dell’agricoltura italiana: noi importiamo notevoli quantitativi di mais e soia per alimentare gli animali con cui produciamo le nostre eccellenze destinate all’export. E questo pone l’esigenza di accrescere la capacità produttiva agricola del paese. 

Facile a dirsi…

Si tratta, infatti, di aprire finalmente le porte alle innovazioni tecnologiche, a partire dagli Ogm e dall’agricoltura di precisione, per poter compiere il salto produttivo. Gli effetti dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ci hanno ricordato qualcosa che, nel lungo periodo di pace iniziato nel dopoguerra, avevamo rimosso: e cioè che la disponibilità di beni alimentari gioca sempre un ruolo strategico nei conflitti tra i paesi. 

Cosa dovrebbe fare la Ue?

L’Ue dovrebbe restituire alla politica per la sicurezza alimentare l’originario compito di assicurare il diritto ad avere cibo sufficiente e non solo quello di garantire la sicurezza igienico-sanitaria e informativa. L’Unione è oggi la prima “potenza” agricola del mondo. Ma è un “nano” politico e rischia, con le aberranti strategie proposte dalla Commissione, come il “Farm to Fork”, di indebolirsi sul piano produttivo e tecnologico. Dopo gli sconvolgimenti avvenuti nel 2022, l’Ue potrà svolgere un ruolo di primo piano nello scacchiere mondiale e tentare di guidare l’edificazione di un nuovo ordine, se innanzitutto si dota di una testa politica e di una legittimazione democratica, riformando i trattati, ma anche se mantiene e irrobustisce la sua performance agricola, con una nuova politica agricola comune.   

Aspetta, perché dici che la Ue è un nano politico e per di più ha messo in campo un aberrante strategia (Farm to Fork)

Dopo la fine della Guerra fredda, le istituzioni dell’Ue sono state adeguate solo parzialmente a una visione sovranazionale. Il salto è avvenuto con la creazione della Banca centrale europea: unica istituzione interamente non condizionata dai governi nazionali. Invece, la governance e le nuove politiche unionali si muovono in una logica sempre più intergovernativa. 

Fin qui ci siamo…

Nella visione intergovernativa, l’integrazione europea va avanti attraverso il coordinamento volontario tra i governi nazionali, i quali continuano a costituire i pilastri dell’Ue. Fino a quando si è trattato di governare il processo di integrazione monetaria e di stabilizzare quello di integrazione economica, non ci sono stati problemi insormontabili. Si è proceduto, infatti, differenziando i diversi regimi di politiche europee, come l’Eurozona o Schengen. E questo è potuto accadere proprio perché l’integrazione si è basata su accordi politicamente volontari e non, come nel mercato unico, su provvedimenti legislativamente vincolanti.  

Sento che c’è un ma…

Ma con la pandemia e, ancor più, con la guerra in Ucraina e le sue conseguenze, il contesto è cambiato. Sono così emersi, in modo eclatante, i limiti politici e istituzionali dell’Ue. I singoli governi nazionali non potevano farsi carico della ripresa post-pandemica. Né possono essere i singoli governi nazionali a farsi carico della sicurezza militare, energetica e alimentare. Se un problema ha una scala europea, non può ricevere una risposta nazionale. 

Paradosso si…

La visione intergovernativa non costruisce sufficienti capacità centrali (a Bruxelles), ma rafforza quelle nazionali (nelle singole capitali). Ecco perché l’Ue è in ritardo nel rispondere alla crisi energetica ed è inadeguata sul piano della sicurezza territoriale, alimentare e ambientale. A questi limiti si aggiunge la carenza di legittimazione democratica della governance dell’Unione. Ad esempio, il parlamento europeo non ha l’iniziativa legislativa, che è invece attribuita esclusivamente alla commissione. Un paradosso che pochi conoscono. 

Spiega allora…

Il parlamento dovrebbe svolgere la funzione legislativa e di bilancio in modo esclusivo, dare e revocare la fiducia al governo dell’Unione. Questo non significa annullare il ruolo degli stati nazionali nell’architettura dell’Ue. Basterebbe comporre il parlamento di due camere: quella dei popoli e quella degli stati. Senza queste riforme dei trattati, l’Ue continuerà ad essere un nano politico, cioè priva dell’efficienza e dell’autorevolezza necessarie per essere protagonista nello scenario mondiale. A chi spetta l’iniziativa di modificare i trattati? In base all’art. 48 del Tue al governo di qualsiasi stato membro, al parlamento e alla commissione. Il parlamento europeo è l’istituzione maggiormente interessata alla riforma. Ma dovrebbe procedere nei confronti dei governi nazionali con il coraggio e la tensione ideale e politica con cui i parlamenti del XIX secolo imposero ai sovrani il passaggio dalla monarchia assoluta a quella parlamentare. 

Ok, questo è lo stato dell’arte

Nell’attuale situazione di incertezza e fragilità delle istituzioni dell’Ue, la commissione ha proposto la strategia “Farm to Fork”. Questa dovrebbe accompagnare la transizione ecologica dell’agricoltura europea. Tale strategia impone, entro il 2030, di ridurre del 50% l’utilizzo di agrofarmaci e di estendere l’agricoltura biologica del 25% sul totale della superficie agricola. Obiettivi che, qualora perseguiti, indurrebbero un aumento delle importazioni dai paesi terzi, spingendo le popolazioni più povere a mettere a coltura nuovi terreni. 

Quali sono le convinzioni alla base di questa strategia?

Chi sostiene questa prospettiva è convinto che produrre cibo nell’Ue costi troppo. E, dunque, per i consumatori europei sarebbe più conveniente acquistare prodotti importati. Ma questa considerazione non tiene conto che il costo maggiore dipende dalle più elevate tutele del lavoro e dell’ambiente. Ci vorrebbero, pertanto, clausole sociali e ambientali negli accordi commerciali e d’investimento. Altrimenti importare di più significherebbe avallare, nei paesi con regimi autoritari, sfruttamento del lavoro e disastri ecologici. E non si premierebbero quei paesi poveri o emergenti che si sforzano di rispettare standard minimi di protezione dei lavoratori e dell’ambiente. Sia chiaro, non si deve arretrare di un millimetro rispetto all’obiettivo europeo della neutralità climatica. Anche l’agricoltura deve contribuire a raggiungerlo. Ma bisogna scegliere bene gli strumenti da applicare. Ci sono pratiche agricole sostenibili che non vengono diffuse, come quella di seminare direttamente su terreni non lavorati. Occorrerebbe diversificare le colture e gli agro-ecosistemi. Bisognerebbe finalmente aprire le porte all’applicazione delle biotecnologie in agricoltura. La sicurezza alimentare europea non può fare a meno dell’intensificazione sostenibile: oggi il sapere scientifico ci consente di farlo.

Facciamo appello per concludere?

La guerra russa sta ragionevolmente spingendo le democrazie a ridurre la loro dipendenza dalle autocrazie per le risorse necessarie al loro sviluppo e alla loro sicurezza. Nell’immediato, questa risposta ha certamente un senso. Ma dobbiamo essere consapevoli delle conseguenze. Deglobalizzare renderà difficili le soluzioni dei problemi a scala planetaria, come, ad esempio, le migrazioni e il contrasto ai cambiamenti climatici e alle povertà. Il ritorno alla logica delle grandi potenze non conviene a nessuno. Bisogna, pertanto, impedire una involuzione dell’ordine liberale multilaterale. Ci vuole invece una riforma dell’ordine mondiale che passi per la democrazia oltre lo stato. Ci vuole un di più di politica capace di orientare i processi economici planetari. L’appello che dovremmo rivolgere innanzitutto ai parlamentari europei è di riformare quanto prima i trattati dell’Ue. Una Unione politica e democraticamente legittimata sarà maggiormente in grado di contribuire a guidare una evoluzione democratica della globalizzazione. Ma per essere credibile, l’Ue deve mostrare di avere un’agricoltura intensiva, sostenibile e avanzata tecnologicamente, che poggi su di un sistema della conoscenza all’avanguardia.  

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