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Home Alla ricerca della madeleine perduta

Alfonso Pascale, storico dell’agricoltura.

da Redazione
17/01/2023
in Alla ricerca della madeleine perduta
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Nella casa dove sono nato, l’uccisione del maiale era una festa e insieme un rito sacrificale. Il porco era quasi un “nume” protettore perché le sue carni servivano ad alimentare la famiglia per l’intero anno. Noi bambini eravamo presi da due sentimenti contrastanti: la gioia di partecipare a un evento speciale e l’inquietudine ansiosa che ti assale quando vivi una situazione ambigua. Veniva a “scannare” il maiale, prima dell’alba, un uomo anziano che svolgeva questo compito per mestiere. Sembrava un vecchio prete che doveva avviare un rito doloroso, ma necessario. E noi assistevamo con apprensione e curiosità. Mia nonna cucinava la carne di maiale insieme ai peperoni conservati sott’aceto in anfore di creta. Il ricordo di quella pietanza evoca in me quell’atmosfera contraddittoria. Ma è l’odore dell’aceto a dominare: lo trovavo invitante e, insieme, disgustoso. Crescendo, l’ho associato alla bevanda acidula offerta, in segno di scherno, a Gesù sulla croce. Per questo ho preferito nel tempo condire gli alimenti con aceto balsamico. E ho evitato di mangiare i peperoni sott’aceto, anche a Natale, quando s’imbottiscono di acciughe e pangrattato. Amo invece i peperoni “cruschi” con il baccalà, che però mia nonna non preparava. Quando sento dire a qualcuno “si nu puparùl”, non penso ai “cruschi”, che sono intelligenti, ma a quelli sott’aceto con cui mangiavamo il povero maiale appena ucciso sotto i nostri occhi. Ricordo tante pietanze che venivano preparate con la carne di porco. Non parlo dei salumi che si potevano consumare solo dopo la maturazione e la stagionatura. Ma le “fritt’l”, ricavate dalle cotenne e tagliate a pezzetti, gli scarti (orecchie, muso, piedi, parte della testa e ossa), le frattaglie avvolte dalla rete biancastra che circonda il fegato, si mangiavano già durante la festa del maiale.   La specialità che ci faceva andare matti era il sanguinaccio. Veniva preparato utilizzando il sangue del maiale raccolto ancora caldo, con l’aggiunta di cioccolato fondente, vaniglia, cacao amaro e cannella. Quel sangue sgorgava abbondante perché il porco veniva ucciso penzoloni a testa in giù: così il liquido non avrebbe guastato la carne, facendola diventare scura. Ricordo il delizioso sapore che quella crema vellutata sprigionava. Un sapore ambiguo, sensuale, allusivo. Gustando il sanguinaccio, ci guardavamo e ridevamo come in una girandola di sottintesi e allusioni. Oggi questa specialità è in commercio priva del sangue di maiale, il cui utilizzo è proibito per motivi igienico-sanitari. Ma quel sapore licenzioso o solamente allusivo che un tempo aveva il sanguinaccio, è andato perduto.  

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