Lucia Galasso è un’antropologa e ha scritto un libro molto bello sul pane, serio, documentato e divulgativo, possiamo di certo definirla come la Piero Angela del pane.
Mi fai un riassunto sulla storia del pane?
La costante presenza del pane, sulle nostre tavole, ci rivela la sua importanza dall’antichità fino ai nostri giorni, in un gioco di fortune e disgrazie che ci parlano di un alimento che ha il pregio di essere al tempo stesso cibo e simbolo.
Mangiavamo pane prima che esistesse il pane.
Cioè?
La presenza di questo alimento accompagna la nostra specie dal paleolitico fino ai nostri giorni, e si declina – periodo storico dopo periodo storico – in tradizioni diverse, etnicamente e culturalmente distinte, all’interno del bacino del mediterraneo.
Descriviamole…
Dal ritrovo della farina archeologicamente più antica (un primato italiano che la data a circa 30.000 anni fa, ritrovata nel sito archeologico di Bilancino (Barberino del Mugello) che ci ha regalato le prime gallette ai pani anatomorfici che caratterizzano la cultura contadina italiana, il pane – appena abbiamo avuto modo di macinare cereali o loro sostituti – è entrato a far parte della nostra cultura e di una simbologia che lo hanno reso (insieme a pochi altri alimenti) il cibo per eccellenza dell’uomo.
E in Mesopotamia?
In Mesopotamia l’importanza civilizzatrice del pane è attestata nel primo poema epico dell’umanità: l’epopea di Gilgamesh. Tra le sue righe ci appare chiaro che il mangiarne ne fa un atto di cultura che si oppone a ciò che cultura non è. Se i primi pani sono piatti, non lievitati, l’Egitto ci regala il pane lievitato, risultato forse di un errore in cui nello stesso recipiente si incontrano della birra e della farina. Toccherà alla Grecia ereditare i risultati della panificazione egiziana, esaltarli creando una vera e propria religione del pane in nome di Demetra e di sua figlia Persefone.
Venendo a noi?
A Roma confluirà tutto il retaggio relativo alle civiltà del Mediterraneo che l’hanno preceduta, il fornaio e il pane diventeranno anche icone politiche, usate per confermare o demolire il potere di chi regna. Allo stesso si moltiplicano ancora di più i suoi usi in campo religioso e profano, e di conseguenza le sue forme e le sue funzioni.
Ciò che rimane costante, nella storia del pane, è però il suo aspetto simbolico e spirituale, che nella civiltà contadina trova la massima espressione attraverso le tappe del calendario liturgico contadino e del ciclo della vita umana, dove ognuna – festività o fase – è marcata da un pane particolare, per distinguerla da tutte le altre.
In questo suo viaggio, nella storia e nella geografia, il pane cambierà ingredienti, forme e usi, attraverserà rivolgimenti sociali e di costume, rimanendo sempre centrale nella simbologia e nell’alimentazione delle culture mediterranee. Contribuendo, di fatto, a creare quell’identità culinaria mediterranea, che ci permette di riconoscerci in un codice alimentare con tutte le sue regole e i suoi tabù.
Parliamo un po’ dell’aspetto simbolico, antropologico del pane? Per esempio, c’è un mito che ti affascina più degli altri?
Per capire la simbologia del pane dobbiamo incrociare due assi: quello della forma e quello del tempo. Per conoscere meglio questo complesso modo di essere insieme cibo e simbolo, occorre però affidarci a tre categorie che caratterizzano il pane: l’uso, la forma e gli ingredienti.
Andiamo
Bisogna subito distinguere l’uso quotidiano che si fa del pane (quindi a scopo nutritivo) da quello cerimoniale. Se il primo infatti sfama, il secondo veicola una varietà di significati, e non sempre occorre consumarlo.
Cioè?
E cioè, il complesso simbolismo del pane si riferisce ad ambiti quali: la sessualità e la fecondità umana, la fertilità della terra, il ciclo vita-morte, la salute e il benessere di uomini e animali. Lo ritroviamo come elemento portante di tutta quella ritualistica relativa al ciclo della vita (nascita, iniziazione, matrimonio, morte) e dell’anno (semina, coltivazione, raccolta, feste del raccolto). Questo perché nelle società arcaiche la vita era concepita in termini di cicli, e il grano, che consentiva di avere il pane, era sentito come metafora sacra di questa concezione.
Il valore sacro di questo alimento lo possiamo cogliere da una semplice osservazione: ovunque la sua produzione, preparazione e consumo sono accompagnati da gesti, preghiere, formule e riti di propiziazione e ringraziamento.
E la dimensione? C’entra?
La sagoma, lo spessore, la dimensione del pane, invece, sono sempre simboliche. La forma è il mezzo attraverso il quale l’uomo dialoga con il sacro. Il grande antropologo Albero Cirese, infatti, ci dice che “la forma non nutre: veicola informazioni e non calorie”.
Nella confezione e nella modellazione dei pani rituali si riassumono i significati simbolici e rituali di una determinata festa.
Ogni festa un simbolo?
Ogni festa ha ovviamente i suoi cibi rituali, ma il pane lo ritroviamo quasi sempre protagonista di altari e banchetti, di doni e di voti, questo pane però, proprio perché deve sottolineare la particolare dimensione festiva rispetto a quella feriale, è diverso da quello quotidiano soprattutto per la forma che deve riassumere in sé i significati simbolici e rituali di una determinata festa. Il pane diventa così il marcatore culturale di quella particolare festa, caratterizzandola in maniera netta (pensiamo al panettone a Natale, ai pani di San Giuseppe, alla colomba pasquale).
Le varie tipologie e forme del pane veicolano messaggi e significati culturali attraverso le loro forme, che possono essere svariate ma che sono tutte sono il retaggio delle antiche offerte primiziali alle divinità.
E il mito?
Non ho un mito in particolare che mi affascina relativamente al pane, quanto una pratica, che ritengo un po’ l’inizio del rapporto simbolico che abbiamo con questo alimento. La ritroviamo nel Neolitico e vede come protagonista la macina. La donazione d’una macina richiedeva una cerimonia religiosa. Durante gli scavi in un sito neolitico in Germania è stato trovato il cranio di un giovane che poggia su una mezza macina. In Svizzera, gli archeologi hanno portato alla luce una tomba dell’età del bronzo in cui la testa del defunto è circondata da una macina ritualmente spezzata in due. In questo modo la macina – sostituto del pane che si rinnovava continuamente – circondava la bocca e la testa della salma… Così’ inizia la religione del pane.
Come vedi il pane del futuro?
Se teniamo conto che la costruzione simbolica di un alimento si stabilisce attraverso la sua iconizzazione e la ritualizzazione del suo consumo possiamo intuire quali direzioni potrebbe prendere in futuro il pane.
Quale?
Sicuramente – a scanso della demonizzazione dei carboidrati – la rivalutazione dei cereali ci sta facendo tornare a un pane nutritivo, nero, in un’ennesima inversione storica che ha sempre invece sublimato quello bianco, nel tempo divenuto più bello da vedere che da mangiare. In merito si sono accese tante piccole grandi realtà contadine, in tutta Europa, che lottano contro l’industrializzazione di pane e affini. Anche l’alta cucina, i grandi chef, hanno rimesso il pane al centro della ristorazione, forse con un tocco troppo chic per i miei gusti, ma intanto è più facile trovare in giro pani che saranno gourmet ma hanno ottime materie prime.
Dall’altra parte le persone hanno ricominciato a panificare a casa e a donarsi il lievito madre (nascono forni collettivi, le macchine per il pane si vendono…come il pane! Nascono veri e propri social dedicati al dono del lievito ecc.ecc.). Sostanzialmente il pane è tornato a farsi relazione; tra gli uomini e con l’aspetto sacrale della natura. Un modo diverso, contemporaneo, di rendere grazie. Mi sembra che tutto questo sia veramente di buon augurio non solo per il pane ma anche per tutta quella collettività che nel nome del cibo riesce a colmare quella fame di senso di cui soffre l’uomo moderno.