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Come dipanare la matassa della Giustizia

da Antonio Pascale
11/01/2023
in Lezioni Private
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Raffaello Magi, ora consigliere presso la corte di Cassazione, è stato estensore – nel 2005 – della sentenza di primo grado del noto e fondamentale maxiprocesso cd. Spartacus, avente ad oggetto l’attività criminosa del clan dei casalesi negli anni 1988/1996. Ha scritto molto sulla giustizia e sui problemi ad essa connessi, e siccome gode di una ottima visione di insieme, abbiamo fatto due chiacchiere sul rapporto Giustizia e innovazione.

Prima di parlare di innovazione, è possibile fare uno schema, un organigramma dei problemi della giustizia italiana?

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La giustizia, se parliamo di aspirazione alla.., nel nostro paese può essere declinata in tanti modi, tra loro profondamente diversi . 

Proviamo dai…

Sul piano dei valori etico-sociali la giustizia è un ideale coltivato dai costituenti ed espresso – come impegno della Repubblica – nell’articolo 3 della costituzione, dove si guarda alle condizioni di fatto in cui vivono le persone e ci si pone l’obiettivo di rimuovere gli ostacoli (le diseguaglianze) che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la fruizione dei diritti.  

Bel programma

Un impegno – spesso tradito – cui dovrebbero concorrere tutte le istituzioni pubbliche (a partire da quelle deputate alla formazione) sulla base di indirizzi politici, legislativi e amministrativi orientati a tutelare i valori fondamentali e a promuovere ricerca, sviluppo, effettività dei diritti. Se parliamo, invece, di ‘applicazione’ delle leggi, di ‘soluzione delle liti’, di ‘attribuzione dei torti’ lo sguardo va alla magistratura e alla complessa macchina organizzativa del processo e della giurisdizione. Nella percezione collettiva la giustizia – su tale versante – è lenta, diseguale, altamente burocratizzata, a volte scarsamente comprensibile negli esiti. 

Possiamo provare a dipanare la matassa? 

 Come ogni fenomeno umano – che per quanto formalizzato attraverso norme di comportamento resta appannaggio di persone che ne realizzano i contenuti – l’idea che ciascuno può farsene è strettamente correlata al proprio vissuto esperienziale e al proprio modo di pensare. Per i soggetti marginali dediti ad attività visibilmente illecite (piccolo spaccio, furti o rapine rudimentali, maltrattamenti in famiglia) la percezione del sistema- giustizia è di sicura efficienza. I loro processi si celebrano in gran fretta e contribuiscono ad innalzare le statistiche di arresti e sentenze. CLIERE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE

Gli altri?

Per i soggetti condannati alla pena dell’ergastolo ‘senza speranza’ (non riducibile a pena temporanea per assenza di condotte collaborative o tali da rendere assenti i profili di pericolosità) la pena è una cosa terribilmente seria ed effettiva. Per i soggetti portatori di disabilità psichica rimasti in carcere perché le strutture di contenimento e cura che dovrebbero accoglierli non hanno posti disponibili la giustizia è una beffa.  Per altre componenti della società italiana la giustizia è inefficace, la criminalità non si contrasta in modo sensibile, le pene sono troppo blande, le strategie di contrasto alla immigrazione clandestina sono inesistenti.  Al tempo stesso, chi ha incontrato giudici sensibili ed attenti nel campo del diritto di famiglia, del lavoro, della previdenza ed assistenza ai soggetti portatori di handicap si sarà fatto una idea altamente positiva della giustizia ‘del quotidiano’, mentre chi attende da anni una divisione ereditaria o l’esito di una causa per risarcimento dei danni avrà, giustamente, perso ogni fiducia nel sistema, al di là dei resoconti giornalistici su scandali e cordate correntizie per le nomine dei dirigenti dei grandi uffici del nostro paese.   

Che bilancio ne traiamo?

Questo ci serve per dire che – nella sua componente ‘pubblica’ – la giustizia è soprattutto una «attesa» . Pensi di aver ragione, di aver diritto a qualcosa, di aver subìto un torto, ma se qualcuno con la toga non ti dice che è vero tutto resta come prima. Pensi di essere stato accusato ingiustamente di un reato ma se qualcuno con la toga non ti assolve vivi il dramma dell’accusato.   Ed in una società complessa e fortemente eteroregolata – sempre più multietnica, funestata da fenomeni vecchi e nuovi di criminalità organizzata e oggi attraversata da drammi economici correlati a pandemia, crisi energetica, guerra – le attese sono tante e diversificate tra loro.    

Su cosa possiamo focalizzarci?

Il vero tema è, dunque, come fornire risposte in tempi accettabili e ‘secundum legem’ alle tante attese.

Va bene, facciamo un riassunto prima di procedere? Per punti, così ci rimane più impresso.

Allora, le ragioni per cui l’attesa è lunga sono riconducibili a.. a)la scarsa chiarezza della produzione legislativa che dovrebbe orientare la soluzione dei singoli casi e, a volte, la non conformità delle singole leggi interne a principi generali affermati nelle convenzioni internazionali o in altre fonti del diritto vincolanti ; b)la carenza di organico dei magistrati, specie in alcune regioni del paese di più alta problematicità, tale da cerare diseguaglianza nei tempi e nei modi della risposta;  c) le difficoltà complessive di reclutamento e formazione dei giovani magistrati, intrappolati da una cultura eccessivamente nozionistica e poco incline al ragionamento speculativo, schiacciati da una ansia produttivistica imposta dalle condizioni complessive della organizzazione giudiziaria; d) la scomparsa, nel corso del tempo e per ragioni economiche, di uffici di maggiore prossimità al cittadino, sostituiti da un sistema di composizione delle controversie scarsamente professionalizzato; e) la crisi della professione forense, fortemente orientata alla concorrenza interna e non sempre evolutasi verso schemi organizzativi di qualità e responsabilità nella attività consulenziale prima ancora che strettamente giudiziaria; f) lo scarso sviluppo delle sfere di azione di autorità indipendenti poste a tutela di interessi collettivi, che ben potrebbero tener luogo con competenza e professionalità elevata dell’intervento giudiziario in senso stretto.

Quindi da una parte abbiamo l’attesa (lunga) di una risposta…

Sì, se il versante che appare più problematico, all’esterno, resta quello dei tempi di risposta (soprattutto nel settore civile) alla domanda di giustizia, bisogna essere consapevoli del fatto che, al netto di riforme procedurali che possono aiutare, altro nodo essenziale è quello della ‘qualità’ complessiva della risposta, della diseguaglianza territoriale, della necessità di un recupero di attenzione verso il momento cognitivo, di comprensione del fatto e della vicenda umana oggetto di giudizio.      

Lunghezza e qualità della risposta. Ora ti chiederei in base a quanto detto: esistono innovazioni culturali e tecniche nella dimensione della giustizia italiana che sono già in atto e altre che potrebbero migliorare il sistema?

Quanto alle innovazioni interne, molto si è fatto sul fronte della digitalizzazione dei processi, specie nel settore civile. Ormai il fascicolo processuale – in tale ambito – è sostanzialmente informatizzato, con indubbi vantaggi in punto di accessibilità e rapidità di consultazione e ricerca di atti o memorie. Nel settore penale il processo telematico è in via di costruzione, dopo le prime esperienze di remotizzazione realizzate obtorto collo durante la pandemia.  Si tratta di un fenomeno – quanto al processo penale – estremamente più complesso in ragione dei valori (libertà personale, dignità) sottesi all’agorà penalistica e della metodologìa di accertamento dei fatti. 

Affrontiamo questa complessità

Sotto il primo versante i valori sottesi al processo impongono la pubblicità del rito, specie nel primo grado di giudizio. Quanto al metodo di accertamento, lo stile accusatorio del dibattimento impone (anche qui salve le modalità alternative di definizione) il contatto diretto tra il giudice e la fonte di prova (il testimone), allo scopo di immergere il giudicante nella dinamica psicologica della deposizione (con percezione del comportamento non verbale). Nessuna lettura di un atto scritto restituisce il profilo emozionale di una deposizione, così come la mera ricezione di un verbale già confezionato impedisce al giudice di rivolgere domande ulteriori alla fonte di prova. Da qui l’adozione, nella recente riforma processuale penale, della modalità di videoregistrazione degli atti a contenuto comunicativo, forma di mediazione – in futuro – tra le esigenze appena descritte.

Ok, ma…

Ma sinora le – pur opportune – implementazioni tecnologiche non pare abbiano restituito, nel settore civile dove già albergano, risultati decisivi in punto di deflazione del carico di lavoro e dei tempi di risposta alle ‘attese’.  Dunque, se da un lato vanno salutate con favore, dall’altro resta il nodo del rapporto tra tempo, numero e qualità delle decisioni, cui tende a farsi fronte essenzialmente in due modi: a) semplificazione e diversificazione dei riti; b) richiesta di maggior produzione statistica agli operatori del processo. 

Pro e contro?

Si tratta di aspetti che da un lato funzioneranno solo se condivisi e assimilati da tutti gli attori del sistema (in primis gli avvocati), dall’altro rischiano di trasformare il giudice in un produttore di decisioni non sempre meditate e, soprattutto, conformiste (legate alla esistenza di un precedente che si reputa analogo). In tale contesto, qui ovviamente esposto in modo semplice, la maggiore innovazione possibile è – invece – di assetto organizzativo e di profilo culturale e inevitabilmente coinvolge: a) la formazione universitaria; b) il sistema di reclutamento dei nuovi magistrati.  Veniamo da anni molto difficili sui due fronti da ultimo segnalati. I due aspetti vanno rivisti in una ottica di radicale cambiamento. 

In che modo?

Per molto tempo il concorso di accesso alla magistratura è stato ‘elevato’ a concorso di secondo grado, cui non poteva accedersi con la semplice laurea magistrale in giurisprudenza. Da simile assetto sono derivate più storture : a) l’università non si è posta il reale problema di formare giuristi pratici, allontanandosi dal terreno della formazione prospettica; b) è cresciuta e si è alimentata la lucrosa rete dei formatori privati post universitari, con approccio spesso di mera compilazione e diffusione della giurisprudenza maggioritaria e creazione di un vero e proprio mercato della speranza; c) si è creata una sperequazione economica sulla base delle capacità di sostegno delle famiglie ai neolaureati; d) non hanno funzionato a dovere le strutture formative pubbliche post universitarie che avrebbero dovuto calmierare il mercato e creare parità di condizioni di accesso.

C’è stato un cambiamento, no?

La recente riforma, che ha riaperto le porte del concorso di accesso ai neolaureati.   Ma si tratta di un primo passo, da solo insufficiente, dato il gap esistente tra chi da anni si rivolge a formatori privati e chi è appena uscito da una università spesso distante dalle tematiche applicative del diritto. E nel frattempo gli organici si riducono, al numero dei pensionati scavalca sensibilmente il numero dei reclutati. Le commissioni di concorso si compongono a poca distanza temporale dall’inizio delle prove e sono in massima parte formate da magistrati in servizio, non sempre testati nel ruolo di selezionatori . 

E i tempi di attesa crescono? 

Certo, credo infatti che il primo intervento da fare sul piano della innovazione culturale riguardi proprio la formazione universitaria.  In alcuni atenei italiani, sulla base di un protocollo con l’organo istituzionale di autogoverno della magistratura (il CSM) dovrebbero essere varati dei corsi di laurea tematici ‘per’ l’accesso in magistratura, con selezione delle discipline di insegnamento (non solo diritto ‘di base’ e istituzioni europee ma anche studi di logica, di linguaggio comunicativo, di psicologia) e i laureati più meritevoli dovrebbero essere ammessi a sostenere un corso/concorso gestito dalla scuola della magistratura (struttura che attualmente forma i vincitori di concorso e aggiorna i magistrati in servizio). 

Un corso-concorso separato e diversificato quindi?

Sì, che miri alla conoscenza del candidato ed offra strumenti adeguati per sostenere un esame finale meno aleatorio di quello attuale, cui affiancare un concorso open e generalista, da ripensare nelle modalità di svolgimento e di composizione delle commissioni di valutazione.

Allora riassumiamo…

Il primo aspetto è dunque il recupero di senso prospettico del momento formativo, il saper coniugare nozionismo e capacità speculative, lo sguardo a discipline che inevitabilmente dovranno trovare spazio nella esperienza del giurista pratico (che è quello che risolve i casi perché ha gli strumenti tecnici e culturali adeguati). 

Per finire mi fai un esempio di giustizia (con procedure innovative) che ha funzionato?

L’innovazione tecnologica può e deve aiutare alla rilevazione dei bisogni territoriali di giustizia ed alla pianificazione delle risorse disponibili. Non è tollerabile una giustizia diseguale nelle diverse parti del territorio nazionale, ferma restando le ovvie necessità di adattamento. Le statistiche giudiziarie devono essere ‘ripensate’, diversamente gestite ed orientate non soltanto alla rilevazione dei ‘numeri’ ma al ‘grado di complessità’ dei singoli affari, sì da pervenire ad una media ragionata per anno che, nei diversi settori (famiglia, lavoro, societario, immigrazione, penale etc.) consenta una allocazione di risorse umane adeguate o comunque prossime alla adeguatezza (nei limiti delle disponibilità). Non sarei contrario, in questa prospettiva, alla riapertura – specie nel settore civile – di uffici giudiziari dalle minori dimensioni e maggiormente radicati nel tessuto sociale di ‘quel’ territorio. 

In ambito penale?

In ambito penale la scommessa culturale, al di là di quanto già detto, riguarda l’applicazione di una riforma di sicura complessità – di recente varata per iniziativa della ex Ministra Cartabia – che rende ulteriormente flessibile la risposta al fatto di reato e valorizza le alternative al carcere e la giustizia riparativa. Come ogni iniziativa riformatrice richiede, nel momento pratico, apertura mentale e condivisione delle scelte di fondo. L’effetto di lunga durata può essere quello di ridurre la ricaduta nel reato e contenere, in tal modo, il numero degli affari.

Spiega…

La sfida, in sostanza, è quella della complessità. La giustizia penale si confronta spesso con fenomeni endemici correlati alla storia sociale ed economica del nostro paese (la criminalità organizzata, la corruzione politico-amministrativa, le condotte di terrorismo internazionale) ed in questo ambito l’innovazione – esistenza di banche dati centralizzate ove affluiscono i contributi dichiarativi e le decisioni più rilevanti in tema di criminalità organizzata di stampo mafioso – ha di certo agevolato lo scambio di informazioni e la verifica di affidabilità dei numerosi collaboratori di giustizia.  

Senti, e il giudice?

Resta la capacità del singolo giudice di affrontare la ricostruzione del caso con l’etica del dubbio, con la curiosità di comprendere le vere ragioni dei comportamenti devianti, con la voglia di confrontare i contenuti delle singole norme con il sistema dei principi di tutela dei diritti umani, che condizionano e rendono legittimo l’esercizio del terribile potere di giudicare. Questi aspetti possono essere agevolati da sistemi avanzati di raccolta dei dati e dei precedenti ma non sostituiti da un – pur sofisticato – elaboratore elettronico.  

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