Meglio toglierci il pensiero, prima lo diciamo meglio è: l’Italia olearia non è autosufficiente. Nella sostanza non abbiamo gli olivi necessari da cui ricavare le olive da cui trarre l’olio. Ciò significa che non siamo in grado di soddisfare il fabbisogno interno e nemmeno quella quota, sempre importante, fondamentale, destinata all’export, anzi, qui si verifica un paradosso, per esportare quella quota, siamo costretti a importare.
Visto che ci siamo, diciamolo meglio: siamo il massimo importatore di olio al mondo e attingiamo quel che ci occorre direttamente dal nostro principale competitor: la Spagna. Per questo motivo qualcuno ha proposto una ovvia soluzione: più olivi per tutti. Piantiamo più olivi, dunque. Cosa non facile, vediamo perché. Nel nostro Paese sono stati censiti poco più di un milione di ettari di oliveti, ma produciamo molto meno della Spagna, la quale, con il doppio degli ettari olivetati produce dieci volte di olio in più. Viene spontaneo gridare: non è una olivicoltura competitiva la nostra.
Come mai? Non siamo competitivi perché non abbiamo una olivicoltura professionale. Le aziende professionali, a quanto dicono le statistiche sono meno del 5% in totale. Il resto, o una buona parte è quella che il professore Salvatore Camposeo definisce: “olivicoltura contemplativa”. È quella del fai-da-te. Quando si scopre che non è remunerativa si sceglie l’abbandono degli oliveti.
Quindi, ricapitolando, un po’ di numeri: l’Italia coltiva olivi su una superficie di oltre un milione e centomila ettari. La Puglia da sola ospita un terzo dell’intera superficie nazionale. L’80 e passa per cento dell’olivicoltura si concentra nel sud del paese ma i tre quarti dell’olivicoltura italiana è di tipo tradizionale.
Gli olivi, poi, sono coltivati in prevalenza in asciutto e con una bassa densità di impianto, cioè inferiore ai 200 alberi per ettaro. A questo si aggiunge un limitato livello di meccanizzazione e tutto ciò comporta produzioni molto esigue, inferiori a 0,6 tonnellate per ettaro: poco olio a costi elevati, tanto è vero che i costi di produzione sono superiori ai 5, 7 euro per chilogrammo di olio extra vergine di oliva, anche perché vi siano molte superfici olivetate di tipo collinare e montano. Che fare? Razionalizzare la coltura (cioè, rivedere tutti i sistemi di coltivazione così come sono stati concepiti finora) e affidarsi a persone esperte, quindi tecnici specializzati che abbiano una reale conoscenza della pratica olivicola.