Il compianto professor Francesco Sala aveva tanto a cuore il melo della Valle d’Aosta. Una cultura millenaria, risalente al medioevo. Ma un coleottero molto molesto, a dispetto del nome sfizioso, Melolontha melolontha, ha la brutta abitudine di cibarsi delle radici. Le piante vecchie riescono bene o male a resistere, ma quelle giovani non sopportano l’attacco. Come combatterlo? La chimica è inefficace, è dura per un prodotto chimico arrivare fino alle radici. In genere – ricordava Sala- si scava e si cercano le larve. Oppure si montano delle reti per impedire lo sfarfallamento (perché ogni tre anni i coleotteri sfarfallano e infestano nuove zone). Ma le reti sono costose. Che faremmo allora noi al posto del professor Sala se i coltivatori di mele della Valle d’Aosta ci chiedessero una mano? Faremmo quello che ha fatto lui: visti i potenti mezzi che la tecnologia mette a disposizione, cercheremmo di trasferire il gene del Bacillus che produce la tossina nell’apparato radicale.
Tecnicamente una furbata. In questo modo l’apparato radicale esprime la tossina che uccide il coleottero, mentre l’apparato aereo non la produce. Tecnicamente è una furbata, dicevo: la pianta non dovrebbe essere nemmeno classificata come ogm. Ci è riuscito Sala? Certo che sì, trattasi di ricerca pubblica, altamente qualificata. Costo dell’operazione: 10.000 euro. Niente.
Allora il melo è salvo? E no. Oltre al fatto che un rappresentante dei verdi in consiglio comunale accusò Francesco Sala di produrre cibo Frankestein, e va bene, come si sa, due decreti ministeriali, prima del ministro verde Pecoraro Scanio, poi del ministro di An Gianni Alemanno, hanno bloccato la sperimentazione in campo (in realtà pure in laboratorio), perciò in questo momento i meli contro la Melolontha melolonta non possono essere impiegati. Peccato.