Riguardo con nostalgia un filmino Super 8, una sequenza muta dai colori vividi come i miei ricordi. Cibo dell’infanzia è assaggiare il gusto delle radici, assaporando pietanze che mi riportano a brevi scampoli di condivisione familiare circoscritti a due stagioni: l’estate e l’inverno. A fine giugno l’euforia della partenza era sempre accompagnata dal dolce pensiero che, all’arrivo, la fatica, accumulata durante un interminabile viaggio in treno, si sarebbe sciolta in una semplice zuppa calda di cacao amaro e pezzetti irregolari di pane croccante appena uscito dal forno a legna di Luigi. Questo era il benvenuto di nonna Ida. A quel tempo le vacanze estive erano intrise di inconfondibili fragranze; eh già, la macchia mediterranea è un’abile seduttrice per l’olfatto: origano, finocchietto, cipolla rossa!Le mie narici si ubriacavano di aromi che solo la passionale cucina del Sud sa regalare, come quello del sugo che sobbolliva nella pentola di rame e ad ogni energica rimestata di nonna diffondeva nell’aria vapori inebrianti da far venire l’acquolina in bocca. Com’era difficile resistere alla tentazione di intingere una fetta di pane casareccio. Ogni volta cedevo a quel delizioso profumino e finivo per scottarmi la lingua! Adoravo quella leccornia, una prelibata merenda di metà mattina. L’inverno invece i profumi e i sapori rimanevano custoditi nel calore della casa e si mescolavano con il fumo della legna del focolare, stringendo in un lungo e odoroso abbraccio addobbi natalizi, tende,tappezzerie e tovagliati vari. La frittura era la padrona incontrastata delle Feste: dolce e salata. Nonna impastava farina, anice e vino bianco e completava quei morbidi bocconcini dorati avviluppandoli con una vischiosa e profumata mistura di mieli: di fichi e d’acacia. Le vigilie invece, a pranzo, preparava un piattino leggero in vista del cenone serale. Deliziose e soffici coroncine fritte a base di patate, farina e lievito di birra (i cuddruriaddri, dal greco κολλυρα che significa collura, corona) e le varianti dal simpatico nome: vecchiareddre, stesso impasto richiuso su se stesso e farcito con filetti di acciuga di Amantea o caciocavallo silano o ’nduja di Spilinga. Il cibo dell’infanzia sta al profumo della memoria come la famiglia sta alla lontananza.