Tutto inizia dal Bacillus thuringiensis. Un batterio che produce una tossina a forma di cristallo (Cry), tossica per tre ordini di insetti – lepidotteri, coleotteri e ditteri– e innocua per l’uomo: si attiva solo in ambiente alcalino (pH superiore a 7), tipica soluzione che troviamo nell’apparato digerente degli insetti. Noi abbiamo come prima barriera lo stomaco, che come sappiamo (quando ci vengono le gastriti) produce acido cloridrico. Inoltre, i villi intestinali dei mammiferi non possiedono il recettore specifico, perciò la tossina non viene «agganciata».
Negli insetti, al contrario, le tossine si legano a dei recettori specializzati e decretano, così, la triste fine degli insetti: la tossina attivata produce un buco nella loro membrana intestinale ( e secondo gli ultimi studi, i batteri che stazionano nella membrana intestinale dei batteri svolgendo una funziona utile, si riversano nella linfa e diventano nocivi).
Le proprietà del Bacillus thuringiensis sono note fin dal 1920. La sicurezza è garantita. È l’insetticida più studiato al mondo, infatti è diventato il principio principe (se mi permettete l’assonanza) dell’agricoltura biologica.
Sono a base di Bacillus thuringiensis la maggior parte delle formulazioni insetticide usate in agricoltura biologica. Gli insetti, infatti, attaccano anche i campi biologici, perciò, gli insetticidi servono: varia la tipologia ma alla fine sulla pianta si spruzza sempre un insetticida, un principio attivo chimico.
Piccolo problema: bisogna comunque entrare nei campi con le macchine e spargere il batterio (o le tossine). In genere l’insetticida è distribuito in formulazione aerosol o granulare.
Ciò vuol dire prendere il trattore, entrare nel campo, passare tra i filari, consumare gasolio, compattare il terreno, ecc. Senza contare che le tossine, sospinte dal vento, possono finire ai bordi del campo e lì entrare in contatto con le coccinelle, ed è un peccato che queste debbano morire trafitte dalla tossina.
Sono insetti utili, predano altri insetti. Allora si è pensato, e siamo a metà degli anni Ottanta: se prendiamo solo quel gene del Bacillus che produce la tossina e lo inseriamo in una pianta? Così la pianta stessa produce la tossina e solo quegli insetti che predano la pianta muoiono.
Le coccinelle si salvano. E poi si hanno meno spese. Non devi comprare l’insetticida né prendere il trattore, consumare gasolio e compattare il terreno con le ruote.
Se io fossi un contadino, sarei interessato a un prodotto del genere? Io sì, pigro come sono. Fa tutto la pianta. Posso godermi un po’ di tempo libero. E infatti tanti contadini, piccoli e medi (per esempio i coltivatori indiani di cotone) e grandi (i maiscoltori) usano da quindici anni questa tecnologia con ottimi e comprovati risultati.
Se fossimo al loro posto? Se per esempio dopo aver provato questa tecnologia non ci fossimo trovati bene, l’avremmo continuata a usare?
Io no, mi secca spendere soldi inutilmente. Attenzione, altro problema. Chi produce le piante ogm? Attualmente il mercato è quasi monopolizzato da poche multinazionali. Perché? Perché inizialmente i brevetti provenivano dalle università pubbliche, ma le associazioni ambientaliste cominciarono una campagna fortemente ideologica ed emotiva contro questa tecnologia. Sono piante pericolose, dicevano. Vennero così chiesti maggiori controlli. E infatti le piante OGM sono tra i prodotti più controllati al mondo, una mole di controlli, costosissimi. Risultato? Né i ricercatori delle università pubbliche potevano permettersi di spendere tutti quei soldi.
E allora qualche multinazionale ha acquistato negli anni Novanta gran parte dei brevetti dalle università. Solo chi può spendere 50 e più milioni di dollari per superare tutti i controlli può produrre piante OGM.
Ora stacchiamoci da questo piccolo saggio e proviamo a fare un esperimento mentale. Cioè, se noi non fossimo dei lettori indignati contro il mondo ma manager di una multinazionale dell’agro tech e dovessimo fare questa scelta: produrre mais Bt e spendere 50 milioni e più di dollari ma ricavare tanti soldi (il mais è la pianta più coltivata al mondo) o un pomodoro tipico, come il San Marzano, coltivato su pochi ettari (quindi pochi ricavi) e che ci viene a costare sempre 50 milioni di dollari, noi cosa sceglieremmo?
Il problema non è la multinazionale cattiva bensì l’atteggiamento culturale. Se si dice che gli OGM sono pericolosi (e non lo sono affatto, se non vi fidate di me credete a una serie di organismi europei e mondiali che si occupano di salute pubblica) e bisogna fare tanti controlli, è logico che la multinazionale di turno trova conveniente il gioco: pago io, ma produco solo mais, il guadagno è più facile.
Anche se è tardi la tecnologia è promettente e utilissima, dovremmo ricominciare a parlarne, liberalizzare il mercato, abbassare i costi legati agli inutili controlli, permettere la coltivazione e sperimentazione in campo, testare i prodotti e decidere in base un set di dati e non con le nostre emozioni che vanno a corrente alternata.