Non si possono affrontare i cambiamenti, non si può nemmeno parlare della sfera politica e delle decisioni ad essa strettamente connesse, non si può neppure parlare dei nostri sogni per il 2023 e successivi, senza capire a fondo la questione energetica: il prezzo delle nostre scelte, la bontà dei nostri prodotti, la possibilità di farsi i peperoni imbottiti, tutto questo dipende dalla questione energetica.
Eppure, guardate il dibattito pubblico: è tutta un “erba voglio” senza il necessario conteggio dell’energia di base. Senza il contatore che gira e segnala i costi e il range di possibilità. La domanda che per il prossimo anno – a proposito: auguri energetici, buon 2023- e i successivi dovremmo farci, prima di elaborare manifesti di critica o consenso, prima ancora di analizzare i reconditi – ma poi nemmeno tanto- aspetti della società e lanciare grida di dolore e assumere facce torve e luttuose per l’occasione, prima ancora di aderire a questo o quel progetto, insomma la domanda è una sola: di quanta energia realisticamente disponiamo? E da che fonti la ricaviamo?
Energia è civiltà, è il processo di civilizzazione (qualsiasi cosa voglia dire). Civiltà significa energia. Forse il migliore libro sull’argomento è quello di Vaclav Smil, Energia e Civiltà, una Storia (Hoepli). Perché Smil, che è il migliore in campo, si incaponisce a farci ragionare sulla materia su cui poggiano i nostri sogni, e siccome la materia è sempre bruta e segue leggi specifiche che spesso o non riconosciamo o non ci piacciano, ma la natura se ne frega del nostro senso estetico, Smil indagando sulle leggi della materia e sull’applicazione delle suddette, ci costringe a essere realistici e a porci obiettivi della stessa risma, da qui al 2050.
Per esempio prima di parlare della giustissima e indispensabile transizione energetica, dal carbone verso altri fonti, è utilissimo osservare come poco e quanto lentamente è cambiata l’energia.
Nell’antico Egitto, circa 2000 anni orsono, più del 90% dell’energia impiegata era generata dalle braccia, bicipiti e quadricipiti, mentre, il restante, un misero 10%, dalla forza motrice degli animali. Se facciamo un salto fino al 1800, il lavoro delle braccia arriva al 70%, quello degli animali occupa un buon 15%, poi ci sono piccole percentuali di energia ricavate dai mulini a vento, dalle ruote idrauliche e dai primi motori a vapore. Passano altri cento anni, siamo al 1900, Freud ha appena pubblicato l’interpretazione dei sogni, si apre l’era dell’inquietudini, inizia il nuovo secolo e già abbondano i declini, i disorientamenti esistenziali, ebbene la quota lavoro umano più quella animale arriva quasi al 40% dell’energia prodotta. Le ruote idrauliche e turbine continuano a lavorare mentre il motore a vapore va alla grande. Ma dobbiamo aspettare il 1950 per vedere i motori a combustione interna avanzare e diventare dominanti. Eppure, la quota lavoro umano e animale era ancora intorno al 10%.
Questi dati, tradotti in fonti energetiche, cioè da cosa ricavavamo energia, mettono in evidenza che per millenni la legna e il carbone di legna è stata la principale centrale energetica.
Il carbone, per non parlare degli idrocarburi, sono cose recentissime. Smil calcola che il carbone ha raggiunto il 5% del mercato globale intorno al 1840, il 10% del 1855, il 15% del 1865, il 20% nel 1870, il 25% nel 1875, il 33% del 1885, il 40% nel 1895 e il 50% nel 1900.
La sequenza di anni necessari per raggiungere tali risultati è stata di 15-25-30-35-45-55-60. Gli intervalli per il passaggio dal carbone al petrolio con il 5% dell’offerta totale raggiunto nel 1915 sono stati quasi gli stessi 15-20-35-40-50-60. Il gas naturale ha raggiunto i 5% dell’approvvigionamento primario globale nel 1930 e il 25% dopo 55 anni, impiegando molto più tempo.
Le transizioni energetiche sono molto lente, per vari motivi. Purtroppo, molte delle soluzioni proposte e utilizzate girano ancor sul ciclo del carbone. Vaclav Smil ci fa notare, per esempio, che ancora oggi per ricavare elettricità dal vento servono combustibili fossili. Sembra un controsenso, puntiamo tutto sulle energie rinnovabili, fotografiamo bei paesaggi dove le pale girano. Eppure, le turbine stesse sono l’emblema dei combustibili fossili. Fatti i conti, per costruire il numero di turbine eoliche utile a soddisfare la domanda di energia da qui al 2030 – secondo i calcoli di Smil – c’è bisogno di 600 milioni di tonnellate di carbone. E questo senza considerare altri indispensabili processi.
Capite le contraddizioni? Per richiamare l’attenzione sui cambiamenti climatici (che sono fattuali) ci incateniamo, blocchiamo autostrade, buttiamo zuppe sui quadri ma sprechiamo energia inutilmente. Perché allo stato dell’arte, questa civiltà con tutte le magnifiche sorti e gli arretramenti e diseguaglianze, questa civiltà che abbiamo costruito sfruttando energia e innovazioni tecnologiche, questa civiltà che procede per contraddizioni, non fa morire i bambini ma questi poi diventano adulti e consumano, questa civiltà che punta in alto, nello spazio e ci porta sulla vetta, ma poi non abbiamo la necessaria competenza culturale e resistenza per gestire l’altitudine, ancora oggi si basa, più o meno, sull’84% delle fonti fossili, dati 2019.
Pensate che nel 2000 eravamo all’86%. Tanto rumore, tanti convegni, tante manifestazioni, tante COP, tanti jet privati, tante accuse, un misero 2% (scarso) di differenza. Puntiamo su altre fonti, certo, è cosa buona e giusta, ma come dimenticare che “Nel 2021 il 40% della popolazione mondiale, cioè 3.1 miliardi di persone consumavano meno energia pro-capite di quelle che Germania e Francia usavano nel 1860 e che l’Italia consumava prima della Grande Guerra”. Che significa ciò? Significa che quei 3.1 miliardi di persone non possono sperare di migliorare la propria qualità di vita senza il necessario apporto energetico. Per migliorare useranno carbone. Ma se non migliorano la loro qualità della vita difficilmente potranno utilizzare la necessaria innovazione per risparmiare carbone.
Porsi obiettivi realistici per lavorare con consapevolezza sull’energia è davvero un buon augurio per il 2023 e i successivi 100 anni.