C’è gente che passa la vita a parlare con i cani e con i gatti. Io parlo con una zanzara: è sempre la stessa, da anni. Mi scuote col suo ronzio potente e capisco subito che devo darle retta. Ha l’aria spavalda, d’altronde nessuno se le immagina timide e operose (eppure le zanzare sono impollinatrici come le api e contribuiscono al mantenimento degli ecosistemi) Ormai è una presenza ingombrante 12 mesi l’anno e non è per via del climate change, lei è un po’ come la mamma ebraica di Woody nei cieli di Manhattan (“Che facevi dormivi? Dormi sempre!” e io so già che non me la leverò facilmente di torno). Quasi una parodia della Metamorfosi di Kafka: una Tina Pica che si è risvegliata insetto e mi punta dritto il bastone (la sua proboscide appuntita), imprecando petulante. Dorme tutto il giorno in un rifugio in cui è ibernata da anni, forse le pieghe dei cuscini sulla spalliera del mio letto. Poi all’improvviso, di notte, sbatte le ali e mi ringhia addosso come un super-io volante: “Anche oggi non hai combinato un tubo tutto il giorno”. Guai a confonderla con le sue parenti, quelle assetate del mio sangue. Lei non mi punge mai, fa come gli ospiti che ti vengono a casa “già cenati” e se non li devi sfamare, tocca farci conversazione. Sono sempre tentato di farle fare la fine del grillo di Pinocchio, ma quando ti svegliano di notte è un’impresa trovare una ciabatta. Anche stanotte non mi ha punto. Anche stanotte io non l’ho schiacciata al muro. Ognuno ha l’angelo custode che si merita: io ho una Tina Pica ebraica che ha letto Kafka e una mattina all’improvviso si è svegliata zanzara.