Sono pochi gli animali che mi fanno simpatia, ancora meno gli insetti. Quasi tutti mi mettono in allerta come succede quando qualcosa sfugge con troppa facilità al mio controllo. Comunico bene soltanto con i gatti, perché quando sono nata Gelsomina era già in casa e ci ho convissuto come con mia madre e mio padre e le altre cose su cui nessuno ha scelta. Per il resto mi faccio i fatti miei, guardo il loro esistere da lontano, senza giudizi e con molto rispetto, a parte il fatto che non riesco ancora a diventare vegetariana. Però esistono degli animali che trascendono il mio pensiero sugli animali. Creature a cui riconosco una potenza che mi ferma perché mi incanta, mi riporta nei luoghi in cui non ho vissuto, riescono a farmi intuire un punto fondamentale del senso del mio stare al mondo. La prima volta che l’ho compreso avevo circa vent’anni. Avevo camminato per un viottolo senza ombra per arrivare dove la mappa indicava l’ingresso, ma quando il sentiero pietroso era finito non c’era nessuna biglietteria, né un chiosco, neanche un custode addormentato a cui chiedere informazioni. Avevo scelto l’orario peggiore per trovarmi da quelle parti, in Arcadia, nel bel mezzo del Peloponneso, senza un filo di vento, alle tre di un pomeriggio infuocato. Il sito archeologico era abbandonato e una transenna crollata per terra indicava che in teoria non si sarebbe dovuto procedere, ma ormai ero lì, ho pensato, tanto valeva dare un’occhiata. C’erano soltanto pietroni e sterpaglie, i grilli che saltavano, e poi c’ero io. Mi venne in mente di raccogliere un mezzo bastone di legno da sbattere per terra. A riprova della mia diffidenza. Si sentiva quel suono indefinibile della terra rocciosa d’estate e i miei passi che la attraversavano. L’attimo in cui decisi che dovevo tornare indietro, l’ho vista. Occhi severi, profondi millenni. Una tartaruga mimetizzata tra le rocce, grossa come un barilotto. Lei era immobile e io ero immobile. Il carapace era opaco, con i suoi disegni connessi tra loro, grigio e verde e giallo, e nero. Mi sono accovacciata lentamente, lei ha allungato il collo rugoso inclinando la testa. L’ho accarezzata con l’indice e mi è sembrato di provare cose antiche e misteriose e una fiducia imprevista per il futuro.