D’estate a Rimini, negli anni ’70, ospiti di un albergo a mezza pensione, la sera mangiavamo consommé. Praticamente un brodo. Non un piatto tipico del sud, venivo da lì, sì, dal sud, e ai quei tempi la vacanza a Rimini era una specie di must delle famiglie piccolo borghesi. Si mangiava consommé, un po’ perché in quell’albergo c’erano tanti ospiti francesi e tedeschi anche, un po’ perché forse la direzione risparmiava, ma insomma ricordo che era piccolo, avrò avuto sette anni e mangiavo questo brodo. Non so dire che sapore avesse, tuttavia mio padre e gli amici di famiglia con i quali andavamo in vacanza, facevano un sacco di battute, tipo a forza di consommé qua ci consumiamo. Per evitare la consumazione poi i maschi uscivano e andavamo a bere la birra e spesso prendevamo pure un panino. Quindi, il sapore non me lo ricordo ma al consommé sono legati altri ricordi: le battute dei grandi, le scorpacciate di panini e birra e piadina e salsiccia e per noi piccoli schifezze varie, noccioline tostate e zucchero filato, tanto dopo il consommé serale, tutto era lecito, per non consumarci. E al brodo era associata, forse perché lo servivano veramente troppo spesso, l’idea di ribellione, di svago, di scialapopolo insomma, dopo il consommé i grandi dicevano sempre: gli ultimi sfizi prima della fine delle vacanze. Il consommé non l’ho più mangiato, per anni e anni, ma di recente siccome ho i genitori anziani e malati, e sempre a dieta, ho cominciato a cucinare il consommé, e sapete: funziona ancora. Attiva i ricordi, mette in moto l’ironia, permette ancora qualche sgarro: qua dopo ‘sto consommé mi sento consumato, me lo posso prendere un bicchiere di vino sì? ‘Na pastarella? Che sarà mai, tanto so gli ultimi sfizi, prima della fine delle vacanze. E così, bevendo il brodo insieme ai miei genitori molto anziani e malati, aspetto il momento per godermi insieme a loro quegli sfizi, quelli che poi rendono la vita una vacanza da ricordare.