Quando ero piccola io, non c’era questa ossessione per il cibo sano. Negli anni ’70 nessuno leggeva le etichette, né si scandalizzava se mettevi la panna sui tortellini, ti ingollavi una Fiesta quando non ci vedevi più dalla fame o ti finivi il barattolo di Nutella con tutto l’olio di palma davanti alla TV, magari per lenire le pene di cuore. Ritz, Tuc e Cipster erano un’istituzione: lo sono ancora oggi ma insieme all’unto ci tocca ingoiare pure il senso di colpa. I coloranti erano ancora tutti legali – come dimenticare il ghiacciolo arcobaleno e la lingua blu che lasciava il Dalek – e i cibi precotti e surgelati appena lanciati sul mercato erano considerati una vera manna da chi aveva poco tempo per cucinare. Mia madre veniva a prendermi a scuola con la sua 500 su una ruota sola – era sempre in ritardo – e ci precipitavamo a casa a mangiare, io e lei sole, quello che più ci piaceva.
Maga della pentola a pressione (oggi fuori moda, forse tristemente soppiantata dal microonde), mamma produceva risotti e purè buonissimi in pochi minuti. Giurerei che i pomodorini a Roma non esistessero – se ne restavano felicemente al sole di Napoli – e il sugo si faceva coi pelati, con risultati altrettanto brillanti. Ma è inutile negare che a tutto questo preferivo il giorno dei surgelati.
Capitan Findus doveva ancora nascere (anche se oggi è più vecchio di me) ma i bastoncini proliferavano; credo di essere l’unica in Italia a rimpiangere le manzanelle – in pratica un macinato di manzo ricomposto in fettina – ma i primi assoluti nella scala di gradimento erano i mitici sofficini: già buoni senza il petulante camaleonte Carletto, esistevano solo ai gusti formaggio e ai funghi. Ne eravamo talmente golose entrambe che avevamo inventato un gioco: rubarne uno dal piatto dell’altra quando era distratta, nascondendolo sotto al tovagliolo, per poi tirarlo fuori alla fine e sbafarselo tra grasse risate. Sofficino Kid ha colpito ancora.
Barbara Ruiz, consulente editoriale ragazzi