Ci sono cose che ti si piazzano dentro, fra il cuore e la bocca dello stomaco, e non le smuovi più. Io ho qualche canzone, gli occhi di un gatto siamese, un graffio sul tavolo che mi sono portata dietro dalla casa in cui vivevo con i miei e il sugo sul fornello. Quest’ultimo ricordo è anche il mio viaggio all’indietro più dolce, che ogni volta mi riporta in una cucina con i vetri appannati di condensa perché fuori fa freddissimo e dentro invece c’è il vapore mentre si sta cucinando. Mamma ha una lunga gonna scozzese di lana, tipica della moda di quegli anni, io ho un golfino di lana rossa e i capelli che mi sono tagliata da sola con le forbicine dalla punta tonda perché le forbici per grandi non le posso toccare. Mia madre deve essere arrabbiata per questo motivo e domani mi porterà dal parrucchiere a sistemare la falciatura. A un certo punto mi piglia in braccio, sposta l’anca e mi ci appoggia su, sul fianco. Io guardo dentro la pentola d’argento sul fuoco e quel sugo rosso che bolle mi sembra lava. Poi mamma prende un pezzo di pane, ce lo intinge dentro, ci soffia sopra per un po’ e me lo regala. Scotta ancora ma è buonissimo. Anche se, a ripensarci adesso, è un po’ bruciacchiato.
Io penso che abbiamo fatto pace ed è per questo che oggi ho sempre la dispensa piena di barattoli di sugo, pronti per essere messi a bollire e a bruciacchiare nel caso servisse di fare la pace con qualcuno.