Ci sono cibi in cui è l’odore a schiudere ricordi e soprattutto a promettere delizie che poi al palato sono più modeste che alle narici, perlomeno nella mia esperienza sensoriale. Innanzitutto, le spuntature, ormai estinte come il Dodo. Trattasi di budelli di vitello alla brace, che è, mi rendo conto, immagine un poco orripilante per il forestiero, secondo solo al pane con la meusa (bono!). Nei miei ricordi di infanzia adriatica anni Ottanta il panino sbudellato era cibo da street food, proposto da un camioncino (oggi sarebbe il truck food) in attesa in cima alla salita di Portonovo, baia di sassi ed eco piratesche, di fortini napoleonici, di leggende di siluri nascosti e anarchici, dove Joyce Lussu ha ambientato un apocrifo di Sherlock Holmes. Risalivamo dal mare, salati come Ulisse, si andava alla spiaggia libera noi, senza docce, per lavarsi c’era l’acqua del tubo nel parcheggio, dolce ma con retrogusto salso, proveniente da una grotta dove una principessa turca fu prigioniera e mescolò per sempre le sue lacrime a quanto ancora oggi sgorga dalla sorgente. Si tornava verso il tramonto e anche se si era appena mangiata l’anguria tenuta a mollo in mare tra gli scogli durante il giorno di sole feroce, l’odore delle spuntature era malìa irresistibile. Venivano servite nella rosetta scaldata e marchiata di grasso e carbonella. Tutto illegale e cancerogeno oggi. Poi il sapore, niente da fare, non era per me bambina all’altezza di quel preludio aromatico, ma l’effluvio saziava le mie narici, come il fumo delle offerte dagli altari le celesti nari degli dèi. Stessa cosa mi è capitata da studentessa a Bologna, dove l’inverno arrivava con le caldarroste e il loro profumo sotto i portici. Bello e buono anche il rumore del cartoccio tra le mani, delle bucce croccanti, il sapore così così, forse troppo dolce, per me. E stessa cosa succedeva in tutti i viaggi verso città del sud ma anche a Milano, talvolta, ovunque vi fosse una polleria: il pollo allo spiedo unto e bisunto, la pelle del pollo (fatta da Apelle figlio di Apollo) aveva un odore che superava di misura il sapore delle sue carni.