La professoressa Lucia Aquilanti, Professore Ordinario di Microbiologia Agraria, presso l’ Università Politecnica delle Marche ci presenta il finocchio marino, una delizia…
Mi presenti il finocchio marino?
Erbacea perenne, fortemente aromatica (dal tipico sentore di cherosene), conosciuta in alcune regioni Italiane anche come “Paccasasso” o “Spaccasasso.
Il nome deriva da…
Dalla sua capacità di penetrare con la radice rizomatosa tra le rocce, o come “Kritmo” in Grecia, o Erba di San Pietro dal Santo protettore dei marinai, in Inghilterra; il termine generico Crithmum deriva dal greco κρῑθή krithe: orzo, per la somiglianza del suo frutto a un chicco d’orzo, mentre il termine specifico maritimum deriva da mare: marittimo, marino, che cresce vicino al mare. Il finocchio marino è, infatti, una pianta suffruticosa (erbacea con fusti legnosi solo alla base, generalmente di piccole dimensioni), alofita facoltativa, appartenente alla famiglia delle Apiaceae (ombrellifera), con areale centrato sulle coste mediterranee, ma con prolungamenti verso nord e verso est. Cresce principalmente su litorali rocciosi, ma sviluppa anche nelle coste sabbiose.
Altre caratteristiche botaniche?
Le foglie sono persistenti, glabre, con contorno triangolare, bi o tripennate con segmenti lanceolati carnosi e carenati; alterne con un lungo picciolo che allargandosi forma una guaina avvolgente la base del fusto.
Va bene, a che serve?
Fin dai tempi più antichi, il finocchio marino ha trovato impieghi sia in cucina sia nella medicina popolare.
Medico perché?
L’utilizzo in campo officinale e medico ha origini antichissime; infatti, già nel 77 d.C. nella “Naturalis historia”, Plinio il Vecchio descriveva l’impiego di questa pianta come diuretico e nella terapia renale, mentre sono riconosciute alle foglie di finocchio marino anche proprietà aperitive, carminative, vermifughe ed antiscorbutiche, grazie all’elevato contenuto di vitamina C. Questo ultimo tratto ne spiega anche il consumo piuttosto diffuso da parte dei marinai durante le lunghe navigazioni per prevenire lo scorbuto. Tuttavia, questa il finocchio marino raggiunge la massima notorietà con la citazione da parte dell’immortale Bardo William Shakespeare nel King Lear
Ah, qual è?
“Half-way down Hangs one that gathers samphire; dreadful trade!”
[“A mezzacosta sta aggrappato un uomo, raccogliendo finocchio marino. Terribile mestiere!”]
— Atto IV, Scena VI, righe 14-15
A cosa si riferisce?
Alla pericolosa pratica di raccogliere i giovani germogli di questa pianta presso le ripide scogliere a picco sul mare.
Ah ok, senti e in cucina?
Relativamente all’utilizzo in cucina, le giovani foglie di finocchio marino sono utilizzate crude in insalata, cotte nel burro, o in conserva, sia sott’olio sia in salamoia. Inoltre, queste possono essere utilizzate come guarnizione e condimento di piatti a base di carne e pesce.
Ma in Italia si coltiva, si può raccogliere selvatica?
Oggi, In Italia, la raccolta di finocchio marino è proibita in alcune aree, come il Parco Regionale del Conero, e la Regione Molise.
Come mai?
Il finocchio marino si insinua nelle spaccature delle rocce attraverso la radice rizomatosa; la raccolta manuale di germogli e ramificazioni, se accompagnata da una trazione della pianta, può comportarne lo sradicamento della stessa; a sua volta, la progressiva perdita di esemplari adulti, dovuta alla raccolta indiscriminata, porta ad una riduzione del numero di semi diffusi per via anemocora; questa, a sua volta, determina, nel tempo, la scomparsa di intere popolazioni spontanee.
Dove può essere coltivato?
Tuttavia, il finocchio marino può essere coltivato con buone rese, su terreni umidi, ben drenati, esposti al sole. A tal riguardo, il finocchio marino è stato recentemente definito, da alcuni autori, come nuova coltura da reddito (cash crop) e protagonista indiscusso della “saline agricolture”, ossia agricoltura salina, per l’elevata produttiva in condizioni di stress, come alta salinità del suolo, ridotta disponibilità di acqua, scarse esigenze nutritive, ed elevato potenziale biologico e nutrizionale (es.: elevato contenuto di composti bioattivi quali polifenoli, carotenoidi, acidi grassi essenziali ω-3 e ω-6 e olii essenziali, in grado di prevenire lo sviluppo di malattie croniche degenerative (tumori, patologie cardiovascolari, patologie neurodegenerative).
Quindi si potrebbero immaginare anche campi sabbiosi di finocchio marino?
Potenzialmente si, anche se come dimostrato in uno studio condotto sulla coltivazione in fuori-suolo su substrati sabbiosi, su tali substrati è comunque necessaria la somministrazione di nutrienti per ottenere rese adeguate alla successiva trasformazione. In linea generale, come detto, il finocchio marino si comporta come le specie tipiche dei deserti, resistendo molto bene a salsedine e caldo. Questa è, infatti, una pianta perfettamente attrezzata a vivere in ambienti fortemente salmastri, proibitivi per la maggior parte delle colture che non posseggono una robusta cuticola adatta a difendere i succhi interni dalla disidratazione.
Chi la coltiva in Italia? Con quali risultati?
Si. Oltre ai piccoli produttori, che coltivano pochi esemplari per lo più la trasformazione domestica, nella Regione Marche l’Azienda Agricola Paccasassi del Conero, prima e ancora unica in Italia, a coltivare finocchio marino in biologico su larga scala, ha messo a dimora circa 80’000 piante di finocchio marino, per una estensione complessiva di 3 ettari di terreno; il finocchio marino prodotto viene quindi trasformato dall’azienda Rinci, collocata a una manciata di chilometri dalla prima, in accordo ai principi della filiera corta, per la preparazione di conserve e salse a base di questa pregiata coltura.